Raggi assolta, ora piange «Due anni di fango Vado avanti a testa alta»

La rivincita del sindaco M5s: «Non provo rancore». Ma poi accusa l'«odio» dei media

La tensione di due anni sulla graticola, per quanto finora abilmente mascherata dietro all'eterna aria di prima della classe, si scioglie in un pianto liberatorio appena il giudice Roberto Ranalli pronuncia la parola «assolta». Questa volta la sindaca Virgina Raggi non riesce a trattenere l'emozione. Con gli occhi lucidi, tra gli applausi, corre ad abbracciare gli avvocati, poi va a baciare il marito, ieri per la prima volta in aula dall'inizio del processo, e a stringere la mano allo stesso giudice e al pm Francesco Dall'Olio che, con il procuratore aggiunto Paolo Ielo, aveva sollecitato una condanna a dieci mesi per falso. Una brutta batosta per la Procura, che già pensa all'appello.

La sindaca era andata a dormire con la paura, oggi, di doversi dimettere in caso di condanna, invece è stata assolta, non con la formula piena invocata dai suoi legali, ma «perché il fatto non costituisce reato». Era accusata di aver mentito all'Anticorruzione sulla nomina a capo della direzione Turismo di Renato Marra, quando nel dicembre 2016 scrisse in una nota che era stata lei a gestirla in totale autonomia, mentre per i pm ci aveva messo lo zampino il fratello di Marra, Raffaele, all'epoca capo dell'ufficio del personale nonché «vero uomo-macchina» del Campidoglio. E di aver mentito perché altrimenti sarebbe incorsa in un'inchiesta e in base al codice etico allora vigente nel M5s si sarebbe dovuta dimettere. Invece in meno di un'ora il Tribunale ha stabilito che sì, la condotta attribuita dalla Procura alla sindaca c'è stata, ma manca l'elemento psicologico alla base del reato di falso ideologico in atto pubblico, cioè la volontarietà del fatto lesivo.

«Questa sentenza spazza via due anni di fango. Andiamo avanti a testa alta per Roma, la mia città e per il Movimento Cinque Stelle», è il primo commento a caldo della Raggi dopo la sentenza. Più tardi, su Facebook, un lungo sfogo per dire quanto sia stata «umanamente durissima» questa prova affrontata senza mai mollare nonostante gli attacchi mediatici e politici. «Non provo rancore nei confronti di nessuno. Mi auguro che quanto accaduto a me possa divenire un'occasione per riflettere: il dibattito politico non deve trasformarsi in odio», scrive la Raggi. Anche se il primo ad alzare i toni, ieri, prima dell'avvio dell'udienza, era stato proprio suo marito, Andrea Severini, insultando sui social i giornalisti appostati sotto casa: «Avvoltoi dalle sembianze umane», aveva scritto in un post subito cancellato.

I legali della sindaca, Pier Francesco Bruno, Emiliano Fasulo ed Alessandrop Mancori, avrebbero voluto un'assoluzione piena, che riconoscesse l'insussistenza del fatto, ma sono comunque riusciti a convincere il giudice che la Raggi non ha agito con volontà dolosa. «La sindaca non ha mai commesso un falso. Il fatto posto all'attenzione del Tribunale è stato evidentemente ritenuto assente di qualsiasi dolo», ha spiegato l'avvocato Bruno. «Contentissimo» Salvatore Romeo, l'ex capo della segreteria della sindaca, inizialmente indagato e poi archiviato nello stesso procedimento in relazione alla sua nomina. «Giustizia è stata fatta», il suo commento. «Molto rumore per nulla», scrive invece su Facebook Daniele Frongia, uno dei partecipanti alla chat «quattro amici al bar» finita al centro dell'inchiesta.

«Avanti a testa alta», dice la sindaca. I suoi la difendono, anche quelli che fino a ieri erano pronti a scaricarla in nome del codice etico M5s. Il vicepremier Luigi Di Maio retwitta il suo post sull'assoluzione in cui attacca la stampa, Beppe Grillo sul suo blog suona la carica: «Colpisci mentre riprendono fiato». Ma in una capitale ormai allo sbando il caso Raggi è tutt'altro che chiuso.

I fronti aperti per l'amministrazione capitolina sono molteplici, dalla spazzatura alle buche, dagli autobus in fiamme agli alberi che vengono giù come birilli. Con le opposizioni quasi sollevate dall'assoluzione perché le dimissioni della sindaca le vorrebbero per la sua incapacità di gestire la città, dicono, non per via giudiziaria.

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