Cronache

Raoul, l'uomo della tradizione (popolare)

Raoul Casadei era un uomo della tradizione, non della Tradizione con la T maiuscola (non me lo vedo lettore di Evola) ma di una tradizione popolare a cui tutti possano attingere.

Raoul, l'uomo della tradizione (popolare)

Raoul Casadei era un uomo della tradizione, non della Tradizione con la T maiuscola (non me lo vedo lettore di Evola) ma di una tradizione popolare a cui tutti possano attingere. Non aveva particolari interessi filosofico-esoterici bensì un enorme interesse riguardo i modi per tramandare la propria cultura, a sua volta ereditata dallo zio Secondo, quello di Romagna mia e scusate se è poco. Lo capii quando mille anni fa andai a intervistarlo a Villamarina di Cesenatico ossia nella Romagna profonda, suburbana, indigena, la sua Romagna peculiare (poco a che fare con Rimini, nulla a che fare con Riccione o Milano Marittima). Non a caso uno dei suoi più grandi successi si intitolava La mazurka di periferia, inno dell'Italia semplice degli anni '70: «Scaccia pensieri, tanta allegria/ ci basta un grillo per farci sognare/ metti la quarta e balla con me». Era dedicata agli italiani che ancora conoscevano il significato della parola «camporella», chiaro, e per i quali la parola «balera» costituiva presente vivo, non nostalgia né sociologia. L'esatto contrario degli elettori Ztl, i saccenti metropolitani che oggi votano +Europa e Pd. Nel suo villone romagnolo scoprii un Casadei che si arrovellava sulla transizione musicale: «Mi accusano di avere ucciso il liscio, rendendolo più mediterraneo, invece l'ho salvato perché stava morendo. Di vecchiaia». Lì mi venne in mente Eliot, l'idea che la tradizione non si eredita ma si debba conquistare con fatica ad ogni generazione. Negli anni '20 qualcuno avrà accusato zio Secondo di tradimento per aver inserito nell'orchestra la batteria (poi addirittura il sassofono!), nei '90 qualcuno accusava il nipote per aver contaminato il liscio con i balli latini. Erano «i clan dei ballerini, ultra-appassionati legati a orchestre bravissime ma nostalgiche come Castellina Pasi e Borghesi», come mi disse Raoul non troppo sconfortato perché chi fa musica solare deve avere un carattere coerente. Ma il rovello era palese: il timore che tutta una cultura, romagnola e non solo, finisse nel museo se non nel dimenticatoio. Come ogni uomo di vera tradizione vedeva il popolo come un unico insieme e, quasi burkianamente, non concepiva le barriere anagrafiche: «Oggi il problema più grave, nel mondo della musica, è il muro fra le generazioni. Ci sono locali frequentati da 18-20enni, altri da 20-22enni, altri da 22-24enni e così via, di due anni in due anni, fino ai cento. Nessuna di queste età comunica fra loro. Non si conoscono e non si capiscono». Il suo obiettivo era perpetuare il ballo popolare, lasciando un repertorio rinnovato nelle mani del figlio Mirko. Adesso poi ci sono gli Extraliscio nelle cui fila militano ben due colonne della storica Orchestra Casadei. Quando li ho visti esibirsi a Sanremo ho sentito che lo spirito di Raoul, in quel momento probabilmente già ammalato, si stava riversando in loro.

Adesso Raoul può riposare in pace nella Romagna eterna.

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