Standard&Poor's non fa calare la scure sul rating italiano, confermato nella tarda serata di ieri a BBB con prospettive negative. Il giudizio sul merito creditizio resta quindi al momento due scalini sopra il livello junk, spazzatura. Ma è una boccata d'ossigeno solo parziale. L'assoluzione non è infatti piena. Avverte l'agenzia Usa: se l'elevato livello d'indebitamento non prenderà nei prossimi tre anni una piega discendente e non ci sarà un adeguato sostegno da parte dell'Eurozona un taglio del rating deve essere messo in conto. Un monito che arriva in un momento reso complicato dalla necessità di capire quali impatto avranno sull'Italia le misure adottate giovedì sera dal Consiglio europeo. La mancanza sostanziale di dettagli su tempi di attuazione e modalità di finanziamento del Recovery Fund rende peraltro complicato valutare le ricadute sui principali parametri macroeconomici. Non è un dettaglio: più che la situazione attuale, a determinare le scelte delle agenzie di valutazione sono proprio le prospettive di un Paese.
Per ora, S&P non ha voluto calcare la mano. E, nella scelta, il peso della Bce si è fatto sentire. «L'attuale sostegno finanziario della Bce consente all'Italia di rifinanziare il proprio debito a tassi di interesse reali di circa lo 0%». Una sorta di scudo protettivo che ha portato alla fumata bianca, con la conferma della linea rassicurante di fine marzo, quando era stato spiegato che mancavano le condizioni per una revisione in chiave negativa della valutazione tricolore. E ciò nonostante cifre non proprio da Paese con i conti in ordine. L'agenzia di valutazione stima infatti che il deficit italiano salirà al 6,3% del Pil alla fine del 2020 accompagnato da un'impennata del debito vicino al 153%. Si tratta di stime più ottimistiche di quelle con cui il governo ha preso atto del rapido deterioramento congiunturale con l'inserimento nel Def di una contrazione economica pari all'8% e di una perdita pari a 126 miliardi di euro a fine dicembre. Quadro fosco cui va aggiunta la traiettoria che proietta il debito al 155,7% del prodotto lordo e il disavanzo al 10,4% e dunque ben lontano dai paletti del Patto di stabilità, per ora sospesi. Il mantenimento del rating sgombra il campo, seppur temporaneamente, da scenari foschi. Gli stessi che avevano suggerito mercoledì scorso alla Bce, allo scopo di evitare tensioni a fronte di un possibile downgrade anche di una sola tacca dell'Italia, di accettare in garanzia per i rifinanziamenti anche i titoli che fino al 7 aprile scorso godevano del grado investment grade e che successivamente erano scivolati sotto la valutazione BBB diventando quelli che in gergo vengono chiamati fallen angels.
Moody's, che dovrà dare il proprio verdetto il prossimo 8 maggio partendo da una valutazione Baa3, di un notch soltanto al di sopra del segmento spazzatura, si è intanto già sbilanciata: non userà le forbici. «Sebbene il coronavirus causerà un forte choc economico che porterà il debito pubblico italiano a livelli record - scrivono gli analisti della società statunitense - , il merito di credito resterà invariato vista la natura temporanea della crisi e alla luce dei bassi costi di finanziamento del debito».
Moody's parte però dall'assunto che alla fase di severa contrazione economica nel primo trimestre 2020 farà seguito una ripresa a partire dal mese di aprile, «con un forte rimbalzo nel 2021». Ma, alla fine, torna sul tasto dolente: nel breve-medio termine, l'Italia non potrà evitare un piano di aggiustamento necessario per abbattere la mole del proprio debito.
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