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Il "re" felice per il risarcimento: penso a chi non può difendersi

Vittorio Emanuele e il denaro ottenuto dopo l'ingiusta detenzione a Potenza: "Lo darò in beneficenza alle vittime della malagiustizia"

Il "re" felice per il risarcimento: penso a chi non può difendersi

«Sono felice perché oggi, attraverso un segno concreto che dimostra ancora una volta come quella vicenda sia stata solo una fiera di assurdità e di sopraffazione, giustizia si compie ancora una volta. Giustizia per me, giustizia per la mia Casa, giustizia per i miei cari e per coloro che mi sono stati vicini in questi anni. Il mio primo pensiero va però a quelle persone che si sono trovate e che si trovano in situazioni analoghe, senza avere le possibilità di difendersi e di combattere come ho potuto fare io in questi anni e che vedono le proprie famiglie distruggersi». Sono queste le prime parole che Vittorio Emanuele di Savoia distilla in diretta e affida alla sua segreteria proprio mentre lo contattiamo per un commento a caldo riguardo all'epilogo della «spiacevole» avventura giudiziaria che lo vide coinvolto nove anni fa.

Un epilogo oneroso per lo Stato italiano e vantaggioso per lui. Che è diventato il destinatario di 40mila euro di risarcimento per «ingiusta detenzione». Tutto merito, o colpa, a seconda dei punti di vista, ovviamente, del pm Henry John Woodcock che, accadeva nel 2006, fece scattare le manette ai polsi del figlio dell'ultimo re d'Italia con accuse pesanti: dall'associazione a delinquere finalizzata alla corruzione e al gioco d'azzardo all'associazione a delinquere finalizzata allo sfruttamento della prostituzione. Comincia così un percorso disseminato da ostacoli ma anche da assoluzioni varie e in diversi tribunali. Che disperde i fatti, i presunti misfatti e persino gli accusati per le aule dei tribunali di mezz'Italia. Una vicenda kafkiana ricostruita ieri sul nostro Giornale . Dopo l'arresto nel Lecchese, a Villa Cipressi dove si trovava con alcuni amici, il 16 giugno 2006 viene infatti incarcerato a Potenza, su decisione del pm Woodcock, che adesso è accasato alla Procura di Napoli. Una settimana dopo il clamoroso arresto, però, Vittorio Emanuele ottiene i domiciliari e il 21 luglio torna in libertà, in attesa del processo. O meglio dei processi. L'inchiesta viene divisa per competenza in tanti stralci: una parte resta in Basilicata alcuni faldoni vengono inviati a Como, altri a Roma, altri ancora in Umbria.

Risultato? Gran parte delle accuse sembrano dissolversi nel nulla e al Tribunale di Como, giusto per fare un esempio su tutti, non si arriva nemmeno a processo, dato che i pm decidono di archiviare tutto l'archiviabile. Così maturano i tempi e le circostanze per reclamare un indennizzo. «Ho fatto richiesta alla corte d'Appello di Roma - ha rivelato al Giornale l'avvocato del principe, Francesco Murgia - perché era giusto che l'Italia risarcisse Vittorio Emanuele per l'incredibile disavventura, per i sette giorni trascorsi in cella, per il disastro d'immagine, per l'imbarazzante espulsione da alcuni circoli esclusivi. Al termine di un'estenuante battaglia, il riconoscimento è arrivato: il principe è felice per questa pronuncia. Era rimasto sconvolto per quello che alcuni magistrati del suo Paese, ma lui preferisce la parola patria, gli avevano fatto».

Soddisfatto, Vittorio Emanuele di Savoia arriva a chiosare la surreale vicenda annunciando che cosa farà con il denaro che gli arriverà dallo Stato italiano: «Casa Savoia è sempre stata vicina a chi soffre a causa delle ingiustizie. Per questo motivo, devolverò in beneficenza l'intera cifra che mi si vorrà concedere a titolo di risarcimento, destinando la somma a un ente specializzato nell'assistenza a questo genere di situazioni di sofferenza e di prova». Giusto per la cronaca, infatti, Vittorio Emanuele non è il solo ad aver chiesto un indennizzo in questa vicenda giudiziaria. Un risarcimento è stato chiesto anche da Vincenzo Puliafito, l'ispettore di polizia inquisito nella stessa indagine del 2006 con l'accusa di aver ricevuto una mazzetta dal principe e poi assolto cinque anni dopo, senza però aver riottenuto circa 143mila euro di spese legali. Il Consiglio di Stato, interpellato dal ministero dell'Interno, sostiene che il ricorso di Puliafito per il rimborso «merita accoglimento». Con buona pace di Henry John Woodcock.

Valeva la pena? Forse c'è qualcuno che è sempre disposto a rispondere sì.

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