Politica

Il reddito di emergenza spacca la maggioranza e diventa un "contributo"

Pd contro 5s, poi l'accordo in extremis: sarà per 2 mesi. Ma al Senato i numeri ballano

Il reddito di emergenza spacca la maggioranza e diventa un "contributo"

L'affanno e la tensione, a Palazzo Chigi, sono sempre più evidenti. Il decreto aprile, nel frattempo diventato maggio, stenta a prendere forma: non sono bastate le lunghe maratone notturne di riunioni (burrascose) di maggioranza per arrivare ad un punto d'accordo sui capitoli più critici, dal reddito di emergenza agli aiuti alle imprese fino alla sanatoria per i migranti che mandano avanti la nostra agricoltura.

In teoria, il nuovo mega-provvedimento dovrebbe andare in Consiglio dei ministri per il varo entro la settimana, ma i nodi di fondo da sciogliere sono ancora troppi. Tanto che il premier Conte, molto provato racconta chi lo ha visto in questi giorni, e amareggiato dai sondaggi che danno la sua popolarità in calo, ha dovuto aprire una nuova fase di consultazione delle parti sociali: ieri sera i sindacati, le cooperative e il Terzo settore; oggi le organizzazioni datoriali, inclusa quella Confindustria di Carlo Bonomi le cui dure critiche alla linea del governo sono suonate alle orecchie del premier come inquietanti colpi di avvertimento. «Nel nuovo decreto saranno riconfermate tutte le misure di sostegno al reddito già previste nel decreto Cura Italia», ha precisato in serata il Ministro del Lavoro Catalfo. «A questo aggiungeremo il Reddito di emergenza, che sarà una misura a tempo, un indennizzo per colf e badanti e un allungamento di 2 mesi per coloro che hanno terminato NASpI e Dis-Coll tra marzo e aprile». Se non bastasse il rebus del decretone da varare, c'è il caso Bonafede che cova sotto la cenere: se il centrodestra presenterà a Palazzo Madama la sua mozione di sfiducia individuale al Guardasigilli, i renziani potrebbero ritirare fuori la loro, che risale ai tempi dello scontro sulla prescrizione, e votare contro il ministro. Non per i caso Di Matteo, su cui Italia viva ha espresso tutte le sue riserve, ma per la gestione complessiva del dicastero, giudicata «l'apoteosi del giustizialismo» dai renziani. «Sarebbe il colpo di pistola di Sarajevo», paventano cupamente nel Pd. Per ora è solo una minaccia, ma basta a far fibrillare i fragili nervi della maggioranza contiana. E al Senato è allarme rosso anche per i numeri: i tre senatori della Svp hanno sempre sostenuto il governo, ma il fortissimo dissenso dalle scelte di Conte sulla gestione dell'uscita dal lockdown, brillantemente esposte in aula dalla capogruppo Julia Unterberger, li sta spingendo verso la rottura: tre voti in meno, a Palazzo Madama, sarebbero una jattura.

In maggioranza si litiga su tutto, e stavolta non sono più solo i bastian contrari di Italia viva a mettersi di traverso: anche il Pd inizia, sia pur timidamente, a contrapporsi alla deriva assistenzialista e allo statalismo sfrenato dei Cinque Stelle. «Il reddito di emergenza alle famiglie deve essere una tantum, non può diventare un sussidio permanente, un nuovo reddito di cittadinanza», avvertono i dem. E a distribuirlo non può essere il feudo grillino dell'Inps, ma i sindaci «che sanno quel che succede sul loro territorio». Mentre Iv dà l'altolà sull'ingresso dello Stato nel capitale delle imprese, avversato anche da Bonomi. Certo, il segretario Zingaretti e il suo «ideologo» Goffredo Bettini restano i pretoriani di Conte. Ma nelle file parlamentari e anche governative cresce l'insofferenza. «Quel che succede nei ministeri grillini è allucinante - confida un membro Pd del governo - prendete ad esempio il ministero del Lavoro: si discute per settimane con la Catalfo per stabilire come intervenire su un determinato problema, si prepara la norma e poi arriva il vice-capo di gabinetto scelto da Di Maio, manda tutto all'aria e la ministra riscrive sotto la sua dettatura».

Un andazzo che per molti, anche nel Pd, sta diventando intollerabile.

Commenti