Renzi prepara l'arma segreta: sulle riforme metto la fiducia

Roma«Non permetteremo a nessuno di mandare all'aria la riforma, costringendoci a ricominciare tutto da capo». Il messaggio di Matteo Renzi alla sua minoranza, che sogna di tenerlo in ostaggio facendo saltare il ddl Boschi a Palazzo Madama, è netto: la questione della elettività del Senato non verrà riaperta, malgrado le minacce di rivolta della fronda anti-renziana.

Ieri Pierluigi Bersani ha fatto sapere che, se il premier non cede, i suoi si riterranno liberi da ogni vincolo: «Nessun partito nella storia d'Italia ha mai chiamato alla disciplina sulla Costituzione», tuona l'ex segretario. «Io non chiedo disciplina, ma lealtà», replica il premier, parlando in serata all'assemblea del gruppo Pd del Senato. E intanto lascia circolare la voce che, sul contestatissimo articolo 2 del ddl Boschi (quello sulla composizione e la elettività del Senato), si valuta anche l'ipotesi di mettere la fiducia: una scelta che metterebbe tutti con le spalle al muro, a cominciare dai bersaniani, perché votare contro aprirebbe la strada alla caduta del governo. Ma si tratta solo di un ballon d'essai , per far capire che si fa sul serio e che sull'elezione diretta dei senatori non si apre alcun tira e molla.

Su tutto il resto il premier si dice invece pronto a discutere, «senza barricate», a cominciare dalla questione «ben più grande» delle funzioni del futuro Senato. Lanciando così un amo a diverse aree dell'opposizione, e soprattutto mostrando un governo dialogante a fronte di minoranze fondamentaliste che respingono ogni mediazione. Un segnale di disponibilità che serve anche per spingere il presidente del Senato nella giusta direzione: è nelle mani di Pietro Grasso, infatti, il detonatore che può far saltare la riforma. Dipende da lui se riaprire agli emendamenti l'articolo 2 o meno, e Grasso per ora alimenta la suspense sulla sua decisione, continuando ad invitare le parti alla trattativa: «Ogni giorno che passa senza un confronto vero tra le parti, a tavolino e non sui giornali, è un giorno sprecato, e fra un mese comincia la sessione di bilancio. Io mi potrò pronunciare solo in aula, quando avrò gli emendamenti da valutare», ha detto ieri. Renzi però manda un chiaro avvertimento: «Non si può mettere in discussione la doppia lettura conforme» dell'articolo 2, già approvato nello stesso testo da Camera e Senato. Poi mette sul tavolo una carta a sorpresa, che serve sia a dimostrare a Grasso che il goveno è aperto al «confronto» da lui invocato, e sia a mettere all'angolo la minoranza Pd: «Non vogliamo certo le barricate - spiega - anzi, faccio una proposta: che tutte le modifiche vengano concordate, in un testo definitivo, dai senatori insieme ai deputati del Pd. Non vorrei che una parte del partito dica una cosa alla Camera e un'altra al Senato. Mi pare una cosa di buonsenso». Di buon senso, e anche di buon auspicio per il governo, visto che nel gruppo Pd di Montecitorio la minoranza è residuale e non ha certo il potere di ricatto che ha al Senato. Il premier insomma ha iniziato, tra bastone e carota, la manovra di aggiramento degli ostacoli sul cammino dell'«architrave delle riforme», come lo definisce. E Maria Elena Boschi avverte: «Siamo aperti al confronto. Ma la riforma sarà approvata comunque». Piaccia o non piaccia a Bersani.

La differenza: per la Camera i senatori sono eletti «dai» Consigli regionali, per il Senato «nei» Consigli regionali

Il presidente

Grasso deve decidere se l'articolo in questione deve essere rivotato, aprendo la strada agli emendamenti

Nel testo approvato alla Camera rispetto al Senato, all'art. 2 della riforma di Palazzo Madama c'è una piccola differenza

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