Ieri il cda delle Ferrovie dello Stato è stato rottamato. Pardon, azzerato. In sostanza, si sono dimessi tutti i consiglieri per accompagnare alla porta i vertici con tanto di ringraziamenti da parte dell'azionista pubblico. Ovvero il ministero del Tesoro che risponde al premier Matteo Renzi, il «mandante» del cambio di due manager scelti da Renzi medesimo.
Si chiude, così, dopo solo un anno e mezzo la gestione dell'amministratore delegato Michele Elia e del presidente Marcello Messori arrivati a fine maggio del 2014. «Provvederemo rapidamente alla nomina del nuovo management», ha detto ieri il ministro del Tesoro, Pier Carlo Padoan e forse l'assemblea dei soci potrebbe essere già convocata per lunedì. L'ex sottosegretaria ai Beni culturali del governo Letta, Simonetta Giordani, è la candidata più accreditata alla poltrona di presidenza. Mentre in pole position per il posto di Elia c'è Renato Mazzoncini, ad della controllata Busitalia e artefice della privatizzazione nel 2012 - ai tempi di Renzi sindaco - dell'azienda di trasporto pubblico fiorentina Ataf.Le poltrone avevano cominciato a scricchiolare già a fine giugno. Quando il presidente del Consiglio aveva difeso pubblicamente le nomine dei manager promossi al vertice delle aziende a partecipazione pubblica indicando, però, soltanto tre nomi: Claudio Descalzi all'Eni, Francesco Starace all'Enel, Mauro Moretti a Finmeccanica. Semplice dimenticanza o ultima chiamata per i non citati? Se lo erano chiesti nei palazzi romani accendendo i riflettori sulle Poste e, appunto sulle Fs. Entrambe avviate verso la privatizzazione.
Mentre Francesco Caio - anche lui «selezionato» dal presidente del Consiglio - ha portato i postini sul listino milanese, il treno di Elia e Messori è deragliato prima di vedere la stazione di Piazza Affari. Lo scontro fra i due rallentava la corsa verso il mercato col traguardo fissato entro il 2016, è stato l'alibi di Renzi. Una coppia disomogenea: Elia, ingegnere e in Ferrovie dal 1975, è stato il collaboratore più vicino all'ex ad Mauro Moretti poi passato al timone di Finmeccanica. Messori è invece un economista e vecchio amico di Padoan (che ieri, sarà un caso, ha ringraziato prima lui e poi Elia non rispettando l'ordine alfabetico come si fa in questi casi). E le differenze sono diventate scontro aperto quando si è dovuto decidere cosa quotare.Nodo ancora da sciogliere, peraltro.
Perché il decreto preliminare varato lunedì da Palazzo Chigi prevede la cessione di una partecipazione non superiore al 40% (anche in più fasi) ma non stabilisce il perimetro oggetto dell'operazione: particolare su cui - ha spiegato il ministro dei Trasporti e delle Infrastrutture Graziano Delrio - si lavorerà nelle prossime settimane. Di certo, la rete resterà pubblica. E proprio su questo punto erano dunque deflagrate le divergenze fra Elia, impegnato a difendere l'unicità del gruppo, e Messori favorevole a una riorganizzazione (proprio per questo nell'ottobre 2014 rassegnò le deleghe). A pensarla in modo diverso su questo sarebbero stati anche i ministri Padoan e Delrio, il primo più propenso per una vendita in blocco, il secondo non contrario allo scorporo della rete.Non solo. Una volta stabilito cosa quotare, il problema sarà riuscire a conciliare le attività nell'Alta velocità con il trasporto pubblico locale.
Le prime rappresentano la parte ricca dei ricavi, quella che può essere più facilmente apprezzata dal mercato. Ma che oggi appare meno brillante rispetto alla gestione precedente, con Moretti amministratore delegato.
«Quando c'era lui le Frecce arrivavano sempre in orario», sostengono con una battuta alcuni osservatori ricordando l'attenzione quasi maniacale del manager per il controllo, la manutenzione, il segnalamento. Insomma, forse Renzi ha sbagliato a scegliersi il capo azienda. Ma chissà se un «autista» di bus gigliati sarà in grado di fare meglio.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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