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Renzi sempre più in crisi Pure Calenda complotta

Il ministro dello Sviluppo sogna Palazzo Chigi. Le strategie di Delrio, Orlando e Franceschini

Renzi sempre più in crisi Pure Calenda complotta

Roma - Un incidente può sempre verificarsi e un politico di razza sa che non deve farsi trovare impreparato. Il governo di Matteo Renzi è meno saldo di quanto possa apparire e di quanto dicano i numeri in Parlamento. Un fallimento al referendum costituzionale, nonostante le rassicurazioni del premier, avrebbe sicuramente conseguenze sulla tenuta, ma anche un peggioramento della crisi bancaria, ancora di là dall'essere pienamente, risolta con le inevitabili «pressioni» di Bruxelles potrebbe determinare conseguenze inattese. Senza contare che l'ingorgo legislativo alla Camera e al Senato (prima della pausa bisogna convertire il decreto Ilva e quello sugli enti locali) lascerà strascichi anche alla ripresa dei lavori a settembre, lavori che saranno influenzati dal clima referendario.

Ecco perché da settimane vi sono riposizionamenti, soprattutto nel Pd, che non sono passati inosservati. Molto s'è detto e s'è scritto dell'insolito attivismo del ministro dei Beni culturali, Dario Franceschini, e dell'operosità del leader dei Giovani Turchi, il Guardasigilli Andrea Orlando. Le loro aperture a una modifica dell'Italicum lasciano trasparire l'intenzione di voler essere protagonisti di un'eventuale transizione post-renziana. In questo milieu si muove anche il ministro dello Sviluppo economico, Carlo Calenda. Quest'ultimo è un ex montezemoliano (braccio destro durante la presidenza di Confindustria, in Ferrari, Ntv e in Italia Futura), ex montiano e oggi renziano, dopo aver fatto il viceministro a Via Veneto e per breve tempo l'ambasciatore presso la Commissione europea.

Non è sfuggito ai navigatori del Transatlantico come, appena insediatosi, il ministro abbia nominato come capo di gabinetto l'ex vicesegretario generale del Senato, Giovanni Orsini. Come vicecapi di gabinetto, invece, ha scelto Barbara Luisi e Simonetta Moleti. Queste nomine non sono state apprezzate dall'entourage renziano perché non direttamente afferenti alla maggioranza Pd che sperava anche in una sostituzione dell'ex Cgil Gianpiero Castano alla guida dell'unità che si occupa delle crisi aziendali. Idem per la scelta di Michele Scannavini alla presidenza dell'Ice. Manager del settore lusso, consigliere di amministrazione di Tod's, un curriculum «confindustriale» più che renziano. Ieri, nel suo editoriale sul Tempo, Luigi Bisignani ha scritto che Calenda «neanche nasconde più di voler soffiare il posto a Renzi».

La prossima tornata di nomine nelle società coordinate dallo Sviluppo sarà decisiva. Palazzo Chigi si aspetta di non essere «tradito» sulla partita Invitalia, l'agenzia per l'attrazione egli investimenti. Così come non sarà più rinviabile la designazione dei nuovi manager di Sogin, l'ente che si occupa di smantellamento delle centrali nucleari e trattamento delle scorie (la commissione Industria del Senato in modo bipartisan ha sollecitato un intervento). Le scelte «autonome» di Calenda sono comunque un segnale di debolezza della premiership. O, nella migliore delle ipotesi, una certificazione dell'assenza di una vera classe dirigente maturata all'ombra del renzismo. Fatto che sta che un altro fronte si aggiunge alle battaglie del presidente del Consiglio, già preso da referendum, questioni economiche e monitoraggio del sottobosco piddino.

Franceschini e Orlando (e in qualche misura anche il ministro Delrio) non staranno con le mani in mano e cercheranno nel Quirinale una sponda per proporsi come alternativa in caso di «cataclismi».

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