Il buio che circonda la crisi di governo resta decisamente fitto. I rumours continuano a descrivere un Matteo Renzi dall'umore altalenante, tentato dall'Aventino, dal cupio dissolvi o dalle urne immediate piuttosto che impegnato nella mediazione e nella pacificazione dei malumori interni alle correnti del Pd. I suoi consiglieri più stretti, Denis Verdini compreso, gli consigliano di gestire la crisi, senza tirarsene fuori, senza lasciare il timore in mano ad altri, ma nel suo inner circle c'è anche chi ritiene che abbia solo da perdere a tornare a Palazzo Chigi. Oggi dall'incontro che la delegazione del Pd avrà con il Quirinale - della quale il premier uscente non farà parte - si capirà la direzione che il partito di maggioranza relativa vorrà imporre.
Tre restano le ipotesi sulle quali Sergio Mattarella lavorerà per verificare l'atteggiamento delle forze politiche. La prima è quella del governo «di responsabilità nazionale» con tutti dentro, chiesto dal Pd, e che presuppone un larghissimo sostegno. Una opzione difficile da percorrere per la quale - secondo alcuni rumours provenienti dalla maggioranza - Renzi aveva pensato nei giorni scorsi di chiedere a un magistrato, forse il presidente dell'Autorità Nazionale Anticorruzione Raffaele Cantone, di scendere in campo, così da mettere in difficoltà il Movimento 5 Stelle. Idea comunque sfumata, con Giovanni Toti che la liquida come «un tentativo di socializzare le perdite».
La seconda soluzione potrebbe essere il ritorno dello stesso Matteo Renzi, attraverso una reinvestitura. Essendosi lui dimesso, però, è chiaro che rischia un contraccolpo forte in termini di immagine e credibilità, visto che infrangerebbe le sue promesse solenni legate al referendum. La terza via è quella di un governo istituzionale, con un appoggio parlamentare che contando sull'attuale maggioranza verifichi la possibilità di allargare la platea dei sostenitori in Parlamento. L'obiettivo sarebbe quello di traghettare il Paese alle urne scrivendo una nuova legge elettorale. In questo caso i nomi che circolano sono quelli di Pier Carlo Padoan, Pietro Grasso oppure se Renzi volesse scegliere una persona di sua fiducia, il ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni (magari con Luca Lotti sottosegretario alla Presidenza del Consiglio).
Un sapore più politico avrebbe, invece, la designazione di Dario Franceschini, altro ex Margherita, con un certo tasso di rischio per lo stesso Renzi che potrebbe così far crescere un suo potenziale competitor, oltre che uno degli azionisti pesanti del Pd e un uomo molto vicino al Capo dello Stato. Appare, dunque, evidente che il presidente della Repubblica farà fatica a compiere le sue scelte senza tenere conto dell'influenza renziana, ma è altrettanto vero che il premier uscente non ha più la forza di impedire la nascita di un esecutivo. Un depotenziamento dettato dalle divisioni interne al Pd, tornate a esplodere un attimo dopo la sconfitta di domenica, ma su cui incide anche l'influenza del «generale Settembre», ovvero l'irresistibile attrazione dei parlamentari, soprattutto quelli di prima nomina del Pd, verso la scadenza autunnale che consegnerà loro il diritto al vitalizio. Una calamita troppo invitante per non subirne il fascino.
Lo scenario, insomma, resta nebuloso. L'unica certezza è che per altre 24-48 ore il grande gioco del totonomine impazzerà, accendendo le speranze e le ambizioni dei tanti candidati messi di fronte all'occasione politica della vita.
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