Renzi è sotto assedio: pronto a sacrificare l'alleato braccato dai pm

Il presidente del Consiglio al responsabile del Viminale: incredibile che non sapessi nulla

Renzi è sotto assedio: pronto a sacrificare l'alleato braccato dai pm

Azzardare un paragone con l'estate del 2011 è certamente troppo. Non tanto perché i fronti aperti con cui aveva a che fare Silvio Berlusconi fossero più numerosi di quelli che oggi minacciano Matteo Renzi, quanto per il ruolo che ebbero il Quirinale e alcune cancellerie straniere (non solo europee) nel cambio della guardia che a novembre portò Mario Monti a Palazzo Chigi. Due elementi - il ruolo di Giorgio Napolitano e le pressioni diplomatiche - che hanno certamente fatto la differenza. E che la fanno anche oggi, visto il profilo scelto da Sergio Mattarella in questo primi diciassette mesi sul Colle e i rapporti sostanzialmente buoni tra il premier e Angela Merkel (oltre ad una Francia decisamente più debole di cinque anni fa). Detto questo, non c'è dubbio che l'estate a cui va incontro Renzi sarà calda come non la si vedeva proprio da quel 2011.

Intorno al governo si stanno infatti addensando nubi troppo tossiche. Così letali che perfino il premier è costretto a schierare il catenaccio e buttare la palla in tribuna. Insomma, se solo un anno e mezzo fa l'inchiesta sulle grandi opere spinse il leader del Pd a chiedere e ottenere le dimissioni di Maurizio Lupi da ministro delle Infrastrutture, oggi Renzi non vorrebbe mettere in discussione la permanenza al governo di Angelino Alfano. Non tanto per il peso intrinseco di un ministero come quello degli Interni, quanto perché il quadro politico adesso è così instabile che anche il più piccolo degli smottamenti va accuratamente evitato. L'effetto slavina, infatti, è dietro l'angolo. Così - anche se Renzi avrebbe fatto presente ad Alfano che è «incredibile» che un ministro dell'Interno scopra di un suo coinvolgimento in un'inchiesta del genere dai giornali - un suo passo indietro lo si chiederà solo nel caso in cui la situazione diventi ingestibile, magari proprio per lo stillicidio di notizie sui media. Ma, questo è il ragionamento di Renzi, così fosse dovrà essere un'azione chirurgica sulla casella del Viminale, senza che il ruolo di Ncd nella maggioranza venga messo in discussione. D'altra parte, sintetizza un uomo vicinissimo al ministro dell'Interno, al di là delle improbabili minacce di qualche senatore centrista, la verità è che dentro Ncd sanno bene che se salta il banco nessuno di loro ha la certezza di tornare in Parlamento. E due anni di legislatura (e stipendio) - fino al 2018 - non sono un incentivo da sottovalutare.

Detto questo, è vero che l'elenco dei fronti aperti è lungo. E prevede che già ad ottobre si vada al redde rationem con il referendum sulla riforma costituzionale. Comunque Renzi deciderà di impostare la campagna di comunicazione, sarà nei fatti un plebiscito pro o contro di lui. Plebiscito a cui il premier arriva accerchiato.

Non solo la vicenda Alfano, ma pure la mina Mps con le schegge che rimbalzano sul tavolo della trattativa che Pier Carlo Padoan sta conducendo con Bruxelles. Non è un caso che il Financial Times dipinga uno scenario fosco: «Dopo il voto sulla Brexit, l'Italia sarà la prossima tessera del domino a cadere. Sul referendum Renzi rischia come Cameron».

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