Matteo va alla guerra. Dopo l'attacco ai vigilanti di Bankitalia capitanati da Ignazio Visco, scavalcato insieme alla Consob dalla scelta del premier di affidare all'autorità anticorruzione di Cantone la supervisione sugli arbitrati dei risparmiatori beffati dalle banche, ora Renzi alza la taglia. E chiede, almeno stando al retroscena apparso ieri sulle pagine di Repubblica, di indagare sugli ultimi quindici anni. Ovvero riportare le lancette delle responsabilità indietro almeno al Duemila. L'obiettivo sarebbe quello di chiamare in causa i suoi predecessori: da Berlusconi a Prodi, da Monti a Letta. Ma riaprire i «cold case» del sistema bancario italiano avrebbe anche alcuni effetti collaterali dalle conseguenze imprevedibili. Perché a capo della Banca d'Italia, dal 29 dicembre del 2005 fino al 31 ottobre 2011 c'era Mario Draghi. Oggi gran capo della Bce. Non è un caso che per difendere l'argine di via Nazionale, abbia indossato l'elmetto Sergio Mattarella. Sullo scandalo delle quattro banche italiane - ha detto il presidente della Repubblica - «oltre a rafforzare le cautele e le regole, bisogna incentivare progetti e iniziative di educazione finanziaria. In questo senso sta utilmente operando la Banca d'Italia». Una mossa contestata dagli obbligazionisti «rottamati» dal decreto del governo che si sono sentiti traditi anche dal Capo dello Stato. In realtà, fanno notare alcuni osservatori, il Quirinale è sceso in campo per motivi diversi. Il primo, spiegano le fonti, è per evitare che l'offensiva a Visco non porti come redde rationem a un cambio al vertice dell'autorità magari con una sostituzione «di matrice renziana» (e in effetti negli ultimi giorni nei palazzi romani è circolato un nome come possibile sostituto, quello del fiorentino Lorenzo Bini Smaghi, ex membro del board della Bce e oggi numero uno di Société Générale).
La seconda pista del perché il Quirinale ha alzato le barricate in difesa di Bankitalia porta dritto verso Francoforte. In sostanza, Mattarella difende Visco anche per fare quadrato preventivamente attorno alla gestione targata Draghi. Chi sostiene questa tesi ricorda le zone d'ombra nei rapporti fra Bankitalia e l'ex dominus della Popolare di Vicenza, Gianni Zonin che ha sempre coltivato i rapporti al massimo livello nelle stanze dell'Authority di Vigilanza. Il caso che ha fatto più rumore è quello di Giannandrea Falchi, già stretto collaboratore di Draghi quando era governatore, che era stato ingaggiato nel 2013 come consigliere per le relazioni istituzionali. Non solo. Nel maggio 2014 la Popolare acquista (a 9,52 milioni, con prezzo minimo d'asta di 9,35 milioni) Palazzo Repeta, a Vicenza, da Bankitalia. E nel giugno 2014 l'Etruria respinge l'Opa di Zonin che si era proposto sul mercato come polo aggregante con il placet di Bankitalia. Solo suggestioni? Può darsi. Nel frattempo, proprio in questi giorni il presidente della Bce è stato a Roma e ha incontrato Mattarella.
«Nonostante abitualmente si eserciti una collaborazione, talvolta si registra invece competizione, sovrapposizione di ruoli, se non addirittura conflitto e questo genera sfiducia oltre a indebolire la società», aveva detto lo scorso 21 dicembre il presidente della Repubblica durante la tradizionale cerimonia per lo scambio degli auguri di fine anno con le alte cariche dello Stato. Sottolineando che «il rispetto delle competenze altrui costituisce la migliore garanzia per la tutela delle proprie attribuzioni». Un messaggio per Renzi?- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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