Richiedenti asilo falsi studenti e figli di papà. Ecco chi sono i violenti di Bologna

Fusione di gruppi di immigrati e collettivi anarchici. Dei 200 finiti sotto la lente degli inquirenti, solo 20 sono iscritti all'ateneo. Vengono da famiglie della media borghesia. E per la prima volta sono stati isolati dal mondo universitario

Richiedenti asilo falsi studenti e figli di papà. Ecco chi sono i violenti di Bologna

Sulla cartellina, color canna da zucchero, ci sono tre lettere scritte col pennarello nero: Cua. Negli ultimi tempi la documentazione è aumentata. A fogli si sono aggiunti altri fogli. La procura di Bologna ha dato mandato alla Digos di intensificare i controlli. E così il «Dossier Cua» è diventato un faldone. Con nomi, indirizzi, fotografie, video, annotazioni.

In quella cartellina è tracciata l'esplorazione completa della galassia antagonista che da due settimane sembra aver fatto ripiombare la città nel buco nero della violenza.

Cua sta per «Collettivo universitario autonomo»: un pugno chiuso su 200 irriducibili (ma i veri studenti sono appena una ventina) su cui la Digos ha stilato schede ad hoc che, in caso di emergenza, consentirebbero immediatamente di rintracciare i «soggetti».

MIGRANTI POLITICIZZATI

Ma da questa analisi top secret emerge un pericolo concreto per Bologna?

«La situazione nelle ultime ore è diventata incandescente, ma resta comunque sotto controllo - spiega al Giornale un investigatore infiltrato nella rete dei collettivi più oltranzisti -. Tensioni latenti ci sono sempre state, ma adesso c'è un elemento di novità: la presenza nei collettivi di una forza presenza di stranieri tra cui anche rifugiati e richiedenti asilo. Non a caso la parola d'ordine all'interno degli attuali gruppi antagonisti è Bologna meticcia». Insomma, a fianco ai «tradizionali» figli di papà con l'hobby della rivoluzione emerge ora una componente straniera, migranti politicizzati che potrebbe ulteriormente destabilizzare il movimento studentesco, o quello che si spaccia come tale.

Nella pagina Facebook del Cua si precisa che: «Il Collettivo universitario autonomo è un gruppo autorganizzato interfacoltà che riunisce studenti e precari dell'Università di Bologna». In realtà il riferimento a «studenti e precari» andrebbe letto senza la «e» di congiunzione, considerato che la quasi totalità degli aderenti al Cua è formato da pseudo universitari che in ateneo ci vanno, ma solo per fare casino e non certo per fare esami.

L'IDENTIKIT RIVOLUZIONARIO

Carta d'identità alla mano si tratta di ultra 30enni, benché loro preferiscano glissare sui 30 anni, trasformando l' «ultra» in ultrà (con l'accento sulla «a»). Ma «ultrà» di cosa? Della «protesta», ovviamente. Combattenti sì, ma ancora con la paghetta assicurata da mamma e papà che il '68 l'«hanno fatto» (o millantano di averlo fatto) e che poi la «contestazione contro i padroni» l'hanno riesumata nel '77. Famiglie medio borghesi dove un tempo si votava per il Pdup di Lucio Magri o per la Dp di Mario Capanna, e dove - a dimostrazione che ogni «compagno» ha il leader che si merita - ora si vota per il Pd di Renzi, Gentiloni e Speranza. La speranza dei post-post-sessantottini del Cua di Bologna è invece rinverdire almeno i «fasti» del movimento della Pantera (correva l'anno 1989), unico caravanserraglio caciarone di cui possono stentatamente avere memoria diretta.

Intanto il «dossier antagonisti» si è arricchito nelle ultime due settimane di una serie di «informative» con al centro proprio alcuni esponenti del Cua.

Lo scenario «anarcoide insurrezionalista» che emerge non appare allarmante ma non va comunque sottovalutata. I soggetti «attenzionati» e considerati «a rischio» sono circa 200. Tra loro spiccano 5-6 «leader» reputati «abbastanza pericolosi».

Note caratteristiche: età, 25-35 anni; titolo di studio, diploma; estrazione sociale, medio-alta; lavoro, nessuno; residenza, vive ancora con la famiglia. Insomma, una specie di bamboccione dall'anima cheguevaresca.

PATTO DI LEGALITÀ

Un'azione di screening e prevenzione al crimine che ha trovato impulso grazie all'arrivo a capo della Digos bolognese del dirigente Stefano Fonsi, che in questo settore specifico può vantare un curriculum di altissimo profilo.

La sensazione è che, sul fronte sicurezza, oggi la città delle due Torri possa contare, forse per la prima volta nella sua storia, su un intesa trasversale tra forze dell'ordine e mondo universitario: una sorta di «patto della legalità» di cui sono garanti, per i rispettivi ambiti di competenza, il questore Ignazio Coccia, il procuratore capo Giuseppe Amato e il rettore Francesco Ubertini.

Risultato: le ultime violenze degli collettivi antagonisti sono state condannate dalla stessa componente studentesca attraverso una petizione che ha superato le 6 mila firme.

La maggioranza degli universitari schierata dalla parte della polizia a Bologna non si era mai vista finora. Eppure il miracolo è avvenuto: i «sabotatori dei tornelli» non hanno raccolto la solidarietà di nessuno. Così i sabotatori si sono ritrovati «sabotati» da un'inedita Bologna meno ideologizzata rispetto al passato: un nuovo corso incarnato anche da sindaco Pd, Virginio Merola, il quale ha condannato senza mezzi termini le «azioni inaccettabili» del Cua.

FOTO CON LA PISTOLA

Sulla pagina Facebook del Cua c'è chi posta una foto con basco nero e stella rossa, tuta mimetica e pistola (giocattolo, si spera) stretta tra le mani. Sotto di lui una scritta: «Avvertite i collettivi, arrivano sono i fascisti!». Un altro tizio, a nome dell'«Unior studenti pro rivoluzione siriana», opta invece per un sobrio «appello nazionale a tutte le Università»: «Ci vogliono morti di precarietà e disoccupazione come Michele? Ci troveranno vivi nelle lotte!».

Resta il dubbio: chi è «Michele»? (l'«intenditore» del whisky Glen Grant? Michele Santoro? Michele Serra?); in realtà il riferimento è alla tragedia di un altro Michele: cioè il giovane che pochi giorni fa si è suicidato lasciando una presunta lettera in cui accusa la «società di avergli rubato il futuro».

GOGNA MEDIATICA

Intanto il procuratore capo, Amato, e il suo aggiunto, Valter Giovannini - due magistrati che negli «anni di piombo» il terrorismo lo hanno combattuto senza tregua - continuano a monitorare la situazione col giusto equilibrio.

Il blitz nei giorni scorsi nella biblioteca universitaria di via Zamboni 36 rappresenta un segnale importante: linea dura contro i violenti intenzionati a creare sacche di illegalità. Esattamente come era accaduto nella biblioteca di Lettere, trasformata in zona franca dove accadeva di tutto: spaccio, furti, minacce, danneggiamenti.

Dopo la liberazione dell'edificio il Cua ha pubblicato su Facebook la foto di una studentessa accusata di «calunniare i collettivi» perché ha raccontato ai giornali gli orrori che accadevano nella biblioteca teatro dello sgombero richiesto giovedì scorso dal rettore.

Ma gli antagonisti rilanciano la sfida: «Metteremo in rete nomi e immagini di chiunque racconterà frottole su di noi».

La gogna mediatica è solo all'inizio.

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