Il rischio di guerra fredda tra leader spregiudicati

Il rischio di guerra fredda tra leader spregiudicati

È lo scontro tra due volontà di potenza contrapposte e collegate alla ricerca di consenso interno la chiave per interpretare la decisione di Donald Trump di uscire dal trattato Inf, la cui firma nel 1987 rappresentò una delle pietre miliari della fine della guerra fredda. Perché è un fatto che l'azione annunciata dal presidente americano è reazione eguale (anche se è facile immaginare che a questo punto l'equilibrio andrà a farsi friggere) e contraria a quella del suo omologo Vladimir Putin, il presidente russo che lo scorso 28 dicembre ha orgogliosamente offerto come regalo di nuovo anno ai suoi compatrioti un supermissile nuovo di zecca (l'Avangarde), spacciato come invulnerabile dalle difese balistiche del nemico occidentale. Ed è altrettanto chiaro che sia Trump che Putin puntano a gratificare il patriottismo dei propri sostenitori con dei successi nel campo della difesa nazionale: il primo per farsi rieleggere nel 2020 ormai vicino, il secondo per fare risalire gli indici di popolarità in preoccupante calo per ragioni legate all'economia.

Già da almeno tre mesi l'intenzione della Casa Bianca di denunciare il trattato che ha messo sotto controllo per 31 anni la terribile minaccia degli «euromissili» era nota. L'accusa di Washington al Cremlino era la stessa che il segretario di Stato Mike Pompeo ha ribadito ieri: Mosca non rispetta il trattato che ha firmato, anzi cerca consapevolmente di imbrogliare la controparte americana. Gli americani sostengono di aver pazientemente richiamato i russi ad attenersi agli impegni, ma di aver dovuto prendere atto che questa volontà non esisteva: a quel punto, la scelta estrema di ritirarsi da un trattato che sulla carta garantisce il fondamentale equilibrio nucleare in Europa sarebbe stata inevitabile.

Ma cos'è esattamente l'Inf e quali saranno le conseguenze della sua consegna ai libri di Storia? Con il trattato siglato l'8 dicembre 1987 a Washington da Ronald Reagan e da Mikhail Gorbaciov, Stati Uniti e Unione Sovietica si impegnavano per la prima volta a distruggere tutti i missili a medio e a corto raggio, accettando la reciproca verifica delle operazioni. Fu un passo storico non solo dal punto di vista militare, ma più ancora da quello politico: i leader dei due schieramenti contrapposti in armi da un quarantennio costruivano una relazione basata sulla fiducia e sulla credibilità reciproca. Se c'è qualcosa che rischia davvero di andare in frantumi con l'archiviazione dell'Inf non è tanto la nostra sicurezza (i missili «di teatro» distrutti per effetto del trattato non erano neppure il 4% di tutti quelli esistenti nel mondo) quanto uno spirito di collaborazione che per tre decenni ha garantito che la rivalità russo-americana non degenerasse in conflitto.

In altre parole: è giusto, come fanno oggi quasi tutti i commentatori, preoccuparsi del pericolo di una nuova corsa agli armamenti.

Ma più ancora è il caso di temere ciò che sottende a questo pericolo, e cioè un atteggiamento da parte di Trump e di Putin che è l'opposto di quello ostentatamente cordiale messo in mostra all'epoca dagli ex nemici Reagan e Gorbaciov. La nuova guerra fredda, condotta da rivali ambiziosi e spregiudicati, rischia di essere più pericolosa della precedente.

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