Q uattro Regioni del Nord contro il Coronavirus. I governatori di Veneto, Lombardia, Friuli Venezia Giulia e Trentino Alto Adige (Luca Zaia, Attilio Fontana e Massimiliano Fedriga della Lega e Arno Kompatscher della Svp) vogliono impedire agli studenti di ritorno dalla Cina di rientrare in classe, imponendo a chiunque sia stato a Pechino e dintorni, cinese o di qualsiasi nazionalità, una quarantena di due settimane.
Lo ha spiegato ieri Zaia, chiarendo che lui e i tre omologhi stanno «preparando una lettera da inviare al ministro alla Sanità Roberto Speranza, per chiedere che i bambini di qualsiasi nazionalità in arrivo dalla Cina siano tenuti fuori dalle scuole per un periodo di osservazione di 14 giorni anche se in età dell'obbligo, in modo da scongiurare l'eventualità di diffusione del Coronavirus». Insomma, un periodo di isolamento che, prosegue il governatore veneto, non ha niente a che vedere con «la volontà di ghettizzare nessuno», ma è solo un modo concreto «di dare una risposta alle tante famiglie preoccupate che hanno i loro figli che nell'età dell'obbligo vanno a scuola», anche considerato che la circolare del ministero «non prevede misure in tal senso».
Quella dei rientri è peraltro più che una vaga possibilità, considerato che da pochi giorni è trascorso il Capodanno cinese, periodo nel quale molte famiglie originarie del paese Orientale scelgono di tornare in Patria per celebrare la festività. «A me ha concluso Zaia sembra una regola sanitaria minimale». Ma la presa di posizione dei quattro governatori solleva immediatamente polemiche. Tra le prime reazioni, c'è quella del parlamentare di Italia viva Marco Di Maio, che stigmatizza la decisione e definisce «ripugnante» fare «speculazioni politiche sfruttando le preoccupazioni delle persone». Secondo l'esponente renziano, proprio chi riveste cariche istituzionali «dovrebbe contribuire ad abbassare il livello di allarme», e non ad alzarlo con una decisione che, per il deputato, odora di «discriminazione». In serata, è arrivata la nota dell'Istituto superiore di sanità: «Le misure adottate dal ministero per le popolazioni scolastiche sono quelle necessarie a tutelare la salute della popolazione». Tradotto: inutile vietare e scuole a chi torna dalla Cina.
Ma la psicosi Coronavirus non accenna a placarsi, e non è certo una prerogativa del Nord Italia. È di ieri la notizia dell'avviso postato su Facebook da una professoressa del Design campus di Calenzano dell'Università degli studi di Firenze. Nel messaggio, la docente ha «rinviato» di tre settimane il suo esame per «tutti gli studenti che sono rientrati in Italia dalla Cina dopo il 10 gennaio 2020». Invitando ancora più nettamente a «non presentarsi» proprio all'esame quanti, tra i suoi studenti, fossero tornati da Wuhan, Ehzou, Xianning e Huanggang. A sgonfiare il caso di precauzioni adottate ad personam dalla prof, però, ha provveduto proprio l'ateneo toscano, spiegando di aver fatto rimuovere l'annuncio della docente e di essersi attivato perché «tutti gli studenti che si sono presentati all'appello del 28 gennaio del corso di architettura, compresi quelli provenienti dalla Cina, potessero sostenerlo regolarmente».
È andata anche peggio agli studenti cinesi dell'Accademia di Belle arti di Frosinone.
L'istituto nei giorni scorsi è rimasto chiuso per qualche giorno per motivi precauzionali: una studentessa cinese di pittura era rientrata con la febbre alta dalla Cina ed era finita in osservazione allo «Spallanzani» di Roma. Sventato il timore che avesse contratto il virus, l'Accademia ha riaperto. Ma all'ingresso nelle aule, ieri, un gruppo di studenti cinesi è stato aggredito a sassate.
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