Roma, la Lega si sfila Berlusconi non tratta: «Capriccio di Salvini»

Il Carroccio boccia anche le gazebarie del weekend: «Bertolaso non è il nostro candidato». La linea del Cav: «È l'unico capace»

Giornata al cardiopalma per il centrodestra: ora l'alleanza è appesa a un filo. Di fatto Salvini ufficializza la rottura e boccia senz'appello il candidato a sindaco di Roma, Bertolaso, attraverso una nota di Giorgetti e Centinaio. Dura la contronota di Forza Italia: «Restiamo sbalorditi. Bertolaso non è un uomo di partito, è una personalità della società civile di assolute e comprovate capacità manageriali, organizzative e realizzative. È un uomo del fare scelto di comune accordo da Berlusconi, Meloni e da Salvini». E ancora: «Invitiamo il segretario della Lega a fare chiarezza - prosegue Bergamini - altrimenti si potrebbe davvero sospettare che le voci di un accordo fra Lega e M5S sono fondate e che Salvini ha deciso di consegnare la Capitale a Grillo in cambio dei voti dei Cinquestelle in altre città. Sarebbe la fine di Roma ma anche della coalizione di centrodestra». E Berlusconi taglia corto: «Bertolaso è il professionista che abbiamo inseguito per mesi perché siamo convinti che sia l'unica persona in grado di risolvere i gravi problemi di Roma. Non deve essere il candidato di un partito o di una coalizione, deve essere ed è il candidato e il sindaco di tutti i romani».Il Cavaliere è particolarmente irritato: già le gazebarie sono state una sorta di concessione alla Lega per garantire una legittimazione popolare all'ex capo della Protezione civile. Ma al Carroccio non è bastato. Da qui lo sfogo di Arcore: «Non torno indietro per un capriccio di Salvini. Non ha senso della misura ed è un immodesto», queste più o meno le parole dell'ex premier di fronte al pasticcio romano.Che ieri si sarebbe messa male lo si intuiva già da mercoledì notte quando i referenti romani di Noi con Salvini, al telefono con il loro leader, fotografavano una situazione nera come la pece. Lo sfogo di un leghista: «Il nostro popolo non vuole Bertolaso e contesta le gazebarie sia nel metodo sia nel merito. Primo: che senso ha una consultazione con un nome solo? E poi: che senso ha tornare a chiedere il parere dei romani se questi si sono già espressi ai banchetti della Lega? Bertolaso è l'ultimo in termini di gradimento. Punto».Ieri mattina, però, attraverso il Messaggero, Berlusconi recapitava un messaggio chiaro all'alleato: «Alla Lega chiediamo lealtà. Il candidato resta Bertolaso che vincerà al primo turno». Insomma, un braccio di ferro che ha coinvolto anche il terzo alleato, Fratelli d'Italia. Sui quali si sono accesi subito i riflettori perché Giorgia Meloni potrebbe essere il jolly capace (forse) di sbloccare l'empasse. Nel primo pomeriggio, così, si forma una delegazione di peso: Giancarlo Giorgetti e Ignazio La Russa vanno dalla leader e cercano di capire se ci sono i margini per una sua candidatura. L'ennesimo pressing asfissiante.Sulla Meloni, in realtà, Salvini ha sempre puntato per spregiudicatezza politica: in caso di vittoria o di onorevole sconfitta, bene: in fondo è un nome che ha sempre voluto il Carroccio; in caso di sconfitta i danni peggiori li avrebbe proprio la Meloni: sarebbe una leader azzoppata, forse definitivamente. Ecco perché, più della gravidanza, la leader di Fratelli d'Italia tentenna.La giornata si fa ancora più complicata quando dalle due parti (Lega e Forza Italia) si sottolineano i toni usati per parlarsi via agenzia di stampa: «Ma come Salvini malconsigliato? Ah sì? Allora noi ci tiriamo fuori». Parte il comunicato dei due big leghisti, Gianmarco Centinaio e Giancarlo Giorgetti: «Non ci sono le condizioni di serietà e lealtà per sondare i cittadini sulla candidatura di Guido Bertolaso a sindaco di Roma. E Bertolaso non è né è mai stato nostro candidato».

Uno spiraglio c'è: «A questo punto - concludono - invitiamo Fi e Fdi a un'ulteriore riflessione se non vogliamo consegnare la città di Roma nelle mani del Pd». Ad Arcore è una sorta di consiglio di guerra. Berlusconi, di pancia, non cederebbe di un millimetro: «È lui (Salvini) che ha tradito la parola data, non io». Avanti tutta, quindi. E la parola ripassa a Salvini.

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