Rosso Malpelo

G uidare sulle strade della contea di Palm Beach quando mister Trump è nel suo castello di Mar-a-Lago, è un disastro. Passano su corsie preferenziali camion dalle strette feritoie che trasportano detenuti. Accompagno mia figlia in ospedale per le sue misteriose emicranie, un ospedale per bambini come quelli ridotti in ceneri siriane. Gli automobilisti discutono della superbomba e della flotta in Corea. E nessuno sa quanti civili sono spariti nei bombardamenti. Aveva cominciato Putin riducendo ad hamburger i quartieri ribelli secondo l'antico criterio ceceno: ammazzateli tutti, Dio riconoscerà i suoi. Trump ha poi fatto altrettanto e ora si leggono alla radio le liste degli uccisi per caso. Si fiuta nell'aria l'odore pesante e imminente della guerra che gli americani riconoscono con soprassalto, ma senza stupore. Ai bordi, un veterano magro come un chiodo inalbera un cartello chiedendo l'elemosina perché è senza casa e senza lavoro. Ha fatto soltanto guerre. Vladimir, russo trapiantato a Miami alla guida della macchina, lo guarda con disprezzo: «Piangono miseria ma i veterani hanno tutti orologi d'oro e borse firmate». «Mister Trump is back in Town» annuncia sorridendo l'enorme donna nera del casello porgendo il resto.

«Anche lei pensa che ci sarà la guerra?» chiede una vecchia signora abbassando il finestrino. «Mia cara, la guerra non si è mai mossa da qui, solo che adesso la vediamo tutti, come i lupi mannari quando c'è luna piena».

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