«S'è ucciso col suo strumento di lavoro»

Lo psicologo: «Caso da manuale, succede a chi è molto depresso. Ma lui aveva anche tratti sadomasochistici»

«Questo incidente è un evento imprevedibile e scioccante. È talmente drammatico che lascia senza parole».

Il capitano Remo Comelli, vola sugli A 320, un aereo come quello che si è schiantato per volontà del copilota. E nella sua lunga carriera ne ha viste di cose fuori posto. La realtà però a volte supera la fantasia. «Ho 11 mila ore di volo alle spalle e 25 anni di carriera. Ma questo episodio è al di fuori di ogni immaginazione».

Già, uno che va fuori di testa. È ammissibile per un pilota che dovrebbe avere il cervello a posto e i nervi d'acciaio? Non sempre è così. Ma i controlli sui piloti sono tutt'altro che estemporanei. «Prima di conseguire il brevetto veniamo sottoposti ad una visita approfondita, sia sotto il profilo medico sia quello psicologico – spiega Comelli –. E in quel momento siamo sottoposti ad una serie di test psicoattitudinali codificati, con domande che permettono in base alle risposte di individuare se nella nostra testa tutto funziona a dovere».

In sostanza in quel primo colloquio si dovrebbe capire se uno oltre che bravo è anche un esaltato. Ma è solo il primo anche se fondamentale test. «Poi un secondo esame avviene al momento dell'assunzione in una compagnia aerea. Successivamente, fino ai 40 anni, si effettua una visita medica all'anno per il mantenimento d'idoneità al volo. Poi le visite diventano due».

Fin qui la routine. «Nel caso di malattie prolungate o se ci sono eventi straordinari, si ritorna a verifica medica».

Ma cosa succede durante i colloqui psicoattitudinali? «Non spulciano nella nostra vita privata - ammette Comelli -. Non chiedono se abbiamo subito una separazione traumatica o se la fidanzata ci ha mollato. Insomma niente particolari intimi”. Tutte domande poco personali «Ci fanno domande sulla nostra salute, sulla stanchezza, sulla capacità di riposare. Se abbiamo problemi con il sonno». A volta scavano, però. «Non ci domandano se siamo depressi, certo – spiega il comandante – ma se uno lo è, magari emerge dal colloquio. E per alcuni viene pure diagnosticata la depressione. Però una cosa del genere potrebbe sfuggire in una visita di controllo».

Il colloquio dallo psicologo, dunque, non è affatto risolutivo. Ci sono altri strumenti però per capire se un pilota è sereno. «Nella Compagnia in cui lavoriamo prima o poi salta fuori se un pilota ha problemi personali. Inoltre nei controlli a livello tecnico può emergere uno stato di stress – aggiunge Comelli - Infine, negli eventi addestrativi, di gruppo, il malessere psichico evidente di un pilota, fa scattare immediatamente l'allarme. E la stessa compagnia è attrezzata per l'assistenza psicologica».

Insomma, tanti occhi sono meglio di quelli di un solo psicologo. «L'attività di routine è un lavoro di team, eventuali malesseri diventano palesi durante le relazioni interpersonali. È tutto il sistema che genera un controllo incrociato continuo».

I disagi più diffusi tra i piloti però sono generalmente di natura fisica. Dopo una certa età, scattano problemi di pressione e anche cardiaci. Poi c'è il fattore stanchezza e sonno visto che i ritmi di lavoro sono sostenuti. «Lavoriamo anche 13 ore consecutive, non ci si può riposare sui voli a corto raggio, semmai solo chiudere gli occhi seduti in poltrona.

Solo sulle lunghe tratte i piloti si alternano, ma in cabina ce ne sono tre o quattro per l'intero volo. In quel caso abbiamo dei posti dedicati per poterci riposare. Inoltre i piloti sono anche sottoposti, per legge, a test anti-droga. Avvengono a sorpresa, un paio di volte l'anno».

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