Salvini infierisce su Luigi: "Ma alla fine esploderà..."

Il leghista alza il tiro su tutto. Di Maio all'angolo. Timori su settembre per il taglio dei parlamentari

Salvini infierisce su Luigi: "Ma alla fine esploderà..."

Infierisce. Senza remore e senza esitazione alcuna. Anzi, chi conosce bene Matteo Salvini riesce a cogliere nelle pieghe delle sue espressioni e nel tono della sua voce un misto di compiacimento e perfidia. Più Luigi Di Maio è prostrato, schiacciato da quella che oggi sarà l'ennesima Caporetto identitaria del Movimento, più il ministro dell'Interno affonda i colpi. L'obiettivo è chiaro: trasformare il voto delle sei mozioni sulla Tav in programma al Senato in una sorta di gigantesca gogna pubblica del leader grillino. Umiliarlo per poi sottometterlo e quindi schiacciarlo politicamente. Ufficializzare ciò che è ormai nei fatti da molti mesi: la Lega comanda, il M5s asseconda. Fino a quando Di Maio non sarà più in grado di reggere una tensione che pesa ogni giorno di più, alimentata dal bombardamento continuo di Salvini. «Vediamo fino a che punto è disposto a farsi mortificare», confidava in privato qualche giorno fa - e con termini decisamente più coloriti - il vicepremier leghista, convinto che arriverà il momento in cui il suo collega vicepremier non sarà più in grado di sopportare la tensione e gli servirà su un piatto d'argento il presto giusto per aprire la crisi. «Vedrete, alla fine esploderà...».

Così, anche ieri è stata una vera e propria raffica di provocazioni. Sulla Tav, ovviamente. Con Salvini che pur di mettere un dito nell'occhio a Di Maio è disposto a «votare tutte le mozioni a sostegno della crescita». Traduzione: oggi la Lega è pronta a sostenere non solo le risoluzioni di Forza Italia e Fratelli d'Italia, ma pure quelle di +Europa e perfino del Pd (che potrebbe infatti chiedere il voto per parti separate così che il Carroccio possa approvare solo il dispositivo della mozione e non la premessa che è fortemente antigovernativa). Insomma, l'ennesimo schiaffo al M5s. Con Salvini che, dicono dal suo entourage, nel pomeriggio potrebbe chiedere formalmente a Giuseppe Conte la testa del ministro delle Infrastrutture Danilo Toninelli. Ma il titolare del Viminale ieri non si è limitato alla questione Tav. Dopo aver agitato lo spauracchio delle elezioni anticipate («vedremo a breve, anche prima di settembre», l'ha buttata lì quasi per caso), ha messo in discussione il reddito di cittadinanza, il salario minimo e pure il decreto Dignità, tutte misure care al M5s. Per poi disegnare la prossima legge di Bilancio in chiave anti-Tria. A differenza di quanto sostiene il ministro dell'Economia, infatti, «la manovra non può essere il gioco delle tre carte» e va fatta andando «oltre la spesa corrente», cioè in deficit. «Pensiamo a 10-15 miliardi di riduzione tasse e al superamento del bonus Renzi», spiega il viceministro all'Economia Massimo Garavaglia durante l'incontro con le parti sociali al Viminale. Un tavolo cui era presente anche Armando Siri, l'ex sottosegretario leghista dimissionato da Conte perché indagato per corruzione. L'ennesima provocazione a Di Maio, che la testa di Siri l'aveva pretesa con forza. Ma che ieri sul punto si è ben guardato di fare polemica.

D'altra parte, lo stato di prostrazione del leader grillino è totale. Basti pensare che ieri persino il leader storico del movimento No Tav, Alberto Perino, non ha esitato a definire la mozione del M5s «una presa per i fondelli». E se davvero oggi Salvini dovesse pretendere la testa di Toninelli, Di Maio gliela consegnerebbe senza troppe storie. Nel gioco del cerino di una crisi che prima o poi arriverà, infatti, l'obiettivo dei due vicepremier è quello di non scottarsi.

Mai come in questi giorni, però, Salvini ha alzato i toni sopra il limite di guardia. Forse perché, si sussurra nei Palazzi della politica, il via libera della Camera al taglio del numero dei parlamentari (da 945 a 600) previsto per la metà di settembre potrebbe diventare una sorta di spartiacque della legislatura.

Soprattutto se fossero veri i rumors secondo cui non solo l'opposizione ma anche il M5s a quel punto non escluderebbe di rimettere mano alla legge elettorale. Uno scenario che allontanerebbe - e di molto - eventuali elezioni anticipate.

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