«Intanto andiamo a votare, spero il prima possibile, poi ragioneremo con chi. Sicuramente non vedo ritorni al passato». Lo schema di Salvini per le probabili elezioni è la corsa solitaria, candidato premier della Lega senza alleanze e coalizioni di centrodestra vecchio stile. Al momento è una tentazione più che un piano preciso. I rapporti con la Meloni (che chiede «alleanze prima del voto, meglio essere chiari») sono ottimi, altrettanto quelli con molti azzurri (come la Ronzulli, mentre con Berlusconi il filo diretto è sempre aperto) e una convergenza c'è con la nuova formazione di Toti. L'ipotesi di un'alleanza quindi non è da escludere, in fondo è quella che si è presentata vincendo in tutte le ultime competizioni regionali. Sul piano nazionale, però, ha una valenza diversa secondo Salvini, c'è il rischio di essere vista dagli elettori come una riedizione del vecchio centrodestra, la presenza del Cavaliere (magari con la sigla «Berlusconi presidente» nel simbolo), quella di big europeisti come Tajani e magari di centristi aderenti a «L'altra Italia», viene vissuta come penalizzante per i consensi della Lega. E comunque, spiegano fonti qualificate, la decisione su cosa fare con Forza Italia dipenderà molto dal comportamento degli azzurri nei prossimi giorni, nell'evoluzione della crisi di governo. Tradotto: se gli azzurri marceranno compatti nella stessa direzione di Salvini, cioè dritti verso il voto bocciando qualsiasi formula che allontani le urne, il dialogo resta aperto. Il caso contrario no. Lo stesso leader leghista, rispetto agli annunci delle ore a caldo dopo lo strappo coi grillini, ha già smorzato l'ipotesi di presentarsi in solitaria alle elezioni: «Non si è deciso nulla se correremo da soli. Abbiamo un'idea di Italia per i prossimi cinque anni che sottoporremo a chi la condivide con noi» ha detto a Termoli, in Molise.
In realtà la preoccupazione che occupa il primo posto nei pensieri del ministro in questo momento è cosa può succedere tra Parlamento e Quirinale per stoppare il voto e quindi la sua probabile vittoria elettorale «Chiedo agli italiani, se ne hanno la voglia, di darmi pieni poteri per fare quello che abbiamo promesso di fare» la sua frase contestata dalla sinistra e M5s che ci vedono un pericolo «dittatura»). Al Viminale arrivano voci di contatti tra Pd renziano (numericamente in maggioranza nel gruppo parlamentare ma molti non sarebbero ricandidati da Zingaretti) e Cinque Stelle, più precisamente si parla di telefonate tra Minniti e il ministro grillino Fraccaro. L'obiettivo sarebbe quello di calendarizzare la legge sul taglio dei parlamentari, che implica due cose: allungare di molto i tempi e poi in parallelo una modifica della legge elettorale, magari in senso proporzionale in modo da togliere il premio di seggi al partito più votato (quindi alla Lega).
Il capo leghista dice apertamente di temere un inciucio renzian-grillino: «Iniziamo a vedere se ci fanno votare, in Italia non c'è nulla di scontato. L'unico dubbio, e sarebbe una cosa incredibile, è che sento che ci sono toni simili tra Pd e 5 stelle. È orribile solo il pensiero di Renzi e Di Maio assieme». Lanciano lo stesso allarme acnhe i due capigruppo leghisti, Romeo e Molinari: «Se qualcuno la tira per le lunghe avrà sulla coscienza un eventuale aumento dell'Iva». Timori confermati dalle dichiarazioni del capogruppo Dem Marcucci che chiede un «governo di transizione» e prima la sfiducia in aula al ministro Salvini, un espediente per verificare una nuova maggioranza M5s-Pd.
Il quale intanto consuma le suole sulle spiagge del suo Beach Tour, ieri era tra Molise e Puglia, già in modalità campagna elettorale («Stiamo preparando un governo che durerà cinque anni a colpi di sì») e primi programmi del governo Salvini («L'obiettivo è il 15% di tasse per tanti italiani e la pensione dopo 41 anni di lavoro»).
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