Non è nel contratto di governo ma non per questo, Matteo Salvini intende rinunciare a uno dei cavalli di battaglia della Lega da ben prima che nascesse l'esecutivo gialloverde. Ieri, dopo giorni in cui erano partite dichiarazioni sottotraccia dalla prima linea leghista, è stato lui, il ministro dell'Interno, a margine della cerimonia di consegna di Costa Venezia a Monfalcone, a rilanciare: «Ero e continuo a essere favorevole alla riapertura delle case chiuse. Non c'è nel contratto di governo, perché i Cinque stelle non la pensano così, però io continuo a ritenere che togliere alle mafie, alle strade e al degrado questo business, anche dal punto di vista sanitario» sia l'obiettivo e «che il modello austriaco sia quello più efficiente». Un altro punto fuori dal contratto e un'altra mina pronta a deflagrare sui già delicati equilibri di governo. Tanto che il leader del Carroccio poco dopo, con i cronisti è tornato sull'argomento, per prevenire le polemiche: «Non aggiungiamo però problema a problema. Chiudiamo quelli aperti prima di riaprire le case chiuse». Gli risponde la senatrice Valeria Valente, del Pd: «Io credo che permettere allo stato di guadagnare sul corpo delle donne sia lontanissimo dalla libertà: è sfruttamento e abuso. Giù le mani dalla legge Merlin».
In Senato però è già arrivato un ddl a firma del leghista Gianfranco Rufa, che vuole riformare proprio la legge che nel 1953 ha abolito le case chiuse. Il testo prevede l'abrogazione dei primi due articoli della Merlin, autorizza la prostituzione nelle abitazioni private, vietandola invece «in luoghi pubblici o aperti al pubblico», e istituisce un registro in Questura a cui dovrebbe iscriversi chiunque la eserciti.
Intanto nella roccaforte della Lega in Veneto, la legge che ha in mente Salvini è quasi realtà: è passata in commissione regionale ed è attesa in aula la proposta «per la disciplina dell'esercizio della prostituzione». Anche qui compare un albo delle prostitute e si prevede l'ergastolo per chi sfrutta la prostituzione minorile.
Secondo Il firmatario della proposta, il consigliere regionale di «Siamo Veneto», Antonio Guadagnini, «chi esercita questo lavoro è un libero professionista il quale ha diritto a ricevere un giusto compenso, e dovrebbe avere sempre diritto ad emettere fattura con partita iva». La stima è che vi sia un business da 9 milioni di clienti e da 5 miliardi di giro d'affari, tutto «illecito, sottratto al fisco».
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