Altro che comunisti rottamati: sono lo zoccolo duro di Renzi

I posti di potere sono tutti assegnati. Sarà pure moderato, ma il premier si circonda di ex comunisti

Altro che comunisti rottamati: sono lo zoccolo duro di Renzi

S mantellata la vecchia Ditta, non restò che la giungla. Indistricabile e infida come tutte le giungle, finché non ne prese possesso il re della foresta: più che un leone, il Napoleone dell'orwelliana «Fattoria degli animali». Comincia così la nuova storia del Pd, nel quale gerarchie e posti-chiave vanno settimana dopo settimana assestandosi in un nuovo ordine sociale (assai poco socialista). Una minestra sapida di destra, ma con il pepe rosso di base. Detto in altro modo, un Matteo Renzi che passa per moderato pur scegliendo nei posti-chiave tanta fauna dei bei vecchi tempi.

Bisogna ammetterlo: dai comunisti che mangiano i bambini, si è passati al bambino che s'è mangiato i comunisti. Non tutti per mandarli nella discarica, tanti sono i digeriti, i convertiti, i celebranti. Una mutazione genetica del partito, ma anche personale. Nella quale non mancano i «Boxer», cavalli da tiro il cui lavoro è fondamentale per la comunità, i «Beniamino», asini rassegnati al nuovo corso, i «Clarinetto» propagandisti, le «Berta», cavalline gentili per portare acqua al mulino, e persino le «Mollie» vanitose e indifferenti alle sorti comuni (assai meno alle proprie). Comunisti regolarmente iscritti al Pci in gioventù, o intellettualmente organici al Programma. Tra questi ultimi, per esempio, va annoverato l'appena insediato vicepresidente del Csm, l'avvocato abruzzese Giovanni Legnini , unico caso di passaggio diretto dalle funzioni di governo a quelle dell'autogoverno (della magistratura) nella storia repubblicana. Per il quale persino il presidente Napolitano s'è scomodato in un'assai irrituale investitura - per quanto soffusa nelle dotte ma incomplete citazioni di Emilio Lussu, gran intellettuale e fondatore del Partito d'azione.

Ma la futura storia del Renzismo militante e realizzato potrà certamente contare anche personaggi che furono di primo piano nel Pci, seguendone le sorti pure di Pds e Ds. Primo tra tutti, l'ex segretario Piero Fassino , assieme ai suoi fedelissimi Marina Sereni (che ambisce alla poltrona degli Esteri), e Sergio Chiamparino , cui negli ultimi giorni pare toccata la difficile parabola di «Palladineve», il teorico avanguardista orwelliano che finisce nel mirino di Napoleone. Parabola simile a quella di Chicco Testa , amico di Renzi della prima ora, ma per ora sempre al palo nelle tornate di nomine.

Vita ingrata. Come quella di Enrico Morando , una vita da liberal comunista, o del ministro Giuliano Poletti , già patròn della Lega delle Coop rosse e ora arcinemico dei lavoratori fedeli all'articolo 18. E che dire di Pier Carlo Padoan , seguace del principe degli economisti comunisti, Claudio Napoleoni (nessuna parentela con il Napoleone della storia), già dalemiano imposto da Napolitano a Renzi, che in ogni conferenza stampa deve sorbirsi non solo le rogne, ma anche rampogne e battutacce del capo? Sperano in sorte più grata Anna Finocchiaro , iperdalemiana, che per una speranza di Quirinale ha macinato e digerito perfino la riforma costituzionale della Boschi, e tradito armi e amori. Più lesta e furba la ministra Roberta Pinotti che, accomunata a Renzi da una felice carriera di capo-scout, ha dimenticato gli antichi mentori (D'Alema e Veltroni), e punta dritto sul Colle più alto. Non sono le uniche conversioni sulla strada di Firenze, per la verità. Pratica nella quale giovani e meno giovani pidini pari sono. Si prenda il bersaniano Vasco Errani , che da indagato rischia di ritrovarsi su poltrona ministeriale. O Nicola Latorre , già sanculotto dalemiano, oggi in costante marcia di avvicinamento come l'ex civatiana Laura Puppato (per entrambi, il capo non ha previsto finora né onori né remunerazioni). Eppure il posto di reuccio delle conversioni spetta di diritto a Matteo Orfini , che ha festeggiato i quarant'anni cambiando vita: da giovane portaborse turco di D'Alema a presidente del Pd renziano.

Non c'è che dire, aveva ragione il suo mentore quando in tivù prima delle primarie ebbe a dire: «Se vince Renzi, finisce il Pd». Per il giovane Matteo, una carriera tutta da inventare, suonò come il «si salvi chi può», e lui s'è salvato. In verità ci avrebbe provato pure D'Alema - se non fosse stato Renzi così sordo ai richiami -, perché un posto in Europa non si nega a nessuno e al «nemico che fugge ponti d'oro». Il fatto è che, purtroppo, il premier considera l'ex ministro degli Esteri una pratica chiusa, un rottamato che cammina, ma lui se n'è accorto soltanto da poco.

A siffatto campionario d'umanità dolentemente postcomunista, o comunista soltanto nell'Io più profondo, vanno poi annoverati gli specialisti della liana. Gente che non teme il maltempo o, per meglio dire, nessun cambio di stagione. Tarzan che non avrebbero sfigurato nella pancia della Balena bianca dc. E se l'assistente del sindaco Veltroni e il suo portaborse di sempre, al secolo Federica Mogherini e Walter Verini , sono renziani naturali della prima ora, se l'alter-ego fiorentino Dario Nardella ha fatto in tempo a iscriversi nel 2004 ai Ds (come perdere l'occasione?), il bettiniano Roberto Morassut , che al liceo era iscritto al Pci, e il ministro Maurizio Martina , che s'è vantato d'aver sottolineato tutto Gramsci (si spera leggendolo), resisterebbero a ogni intemperie. Superati forse solo dagli ambientalisti rutelliani Ermete Realacci e Michele Anzaldi (Legambiente costola verde del Pci), nonché dal direttore di Europa , Stefano Menichini (già ultrarosso del Manifesto ). Dulcis in fundo, il ministro della Giustizia Andrea Orlando , classe '69, ma già capo figiciotto di Spezia a vent'anni, consigliere comunale e negli anni fedelissimo fassiniano, veltroniano, bersaniano.

Uno che dichiarò: «Mai un governo Pd-Pdl» poco prima di entrare con Enrico Letta all'Ambiente e, quindi, con l'«arcinemico» Renzi in via Arenula. Un campione della fattoria: sul tetto a cantar come gallo, chè tanto si monta pur sempre a cavallo.

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