La nomina di Paolo Savona alla Consob è la quintessenza di un governo che fa del cambiamento la sua parola d'ordine ma che nei fatti si dimostra giorno dopo giorno un pericolo per il Paese peggiore di qualunque esecutivo lo abbia preceduto.
Che cos'è la Consob? È l'autorità che controlla la trasparenza e la regolarità dei mercati finanziari e dei bilanci delle società, vigilando e tutelando in ultima istanza i soggetti più deboli, e cioè i risparmiatori. Non è mai stata popolare, in Italia, tenuta un po' nell'ombra, immagine burocratica e polverosa proprio perché il suo ruolo ha un peso enorme nella vita democratica di un sistema capitalistico. E per questo, fin dalla sua recente istituzione (1974), è sempre stata un feudo politico, appendice del potere esecutivo utile, alla bisogna, a non disturbare i cosiddetti poteri forti nelle loro operazioni finanziarie. Avendone naturalmente in cambio qualcosa. Operazioni di e tra società pubbliche, fusioni, acquisizioni, offerte pubbliche di acquisto: tutto passa ed è passato al vaglio della Consob. Basti ricordare gli anni delle privatizzazioni bancarie e delle aziende di Stato, da Telecom a Enel.
Il suo controllo ha quindi seguito l'evoluzione della politica, da feudo andreottiano prima, a compromesso craxiano poi, per poi assumere nella seconda repubblica dei duelli Berlusconi-Prodi un profilo un po' più moderno, ma mai distante dalla politica abbastanza da allontanare il sottile sospetto che fosse una poltrona non sufficientemente attiva nella tutela del mercato. I casi dei prospetti informativi delle obbligazioni subordinate delle banche finite in liquidazione sono il più recente episodio in proposito. Proprio il caso più cavalcato da M5s quando si trattava di attaccare i precedente governi.
Ecco allora che Di Maio e Salvini, liberata la poltrona della presidenza Consob da Mario Nava, ultima nomina Pd, durata per altro meno di un anno per le dimissioni dello stesso Nava, avevano un'occasione unica davanti a loro: dimostrare realmente di essere diversi. E dimostrarlo al mercato, ma soprattutto al potere, a quell'indefinibile combinato disposto di elité e finanza nazionale e internazionale che il governo gialloverde dice di osteggiare e sbeffeggia un giorno sì e l'altro anche.
E allora vai: metti un presidente Consob che non guarderà in faccia a nessuno e fai al Paese un regalo che vale 10 volte di più del reddito di cittadinanza e della quota 100 messe insieme. Metti un economista o un giurista economico super laureato, preparato, aggiornato, informato, mai schieratosi in politica e autorevole alla guida della Consob. Schiera in campo, per la prima volta in quasi 50 anni, uno sceriffo del risparmio. Un potere questo sì realmente «forte», se il governo decide che sia così, dandogli sette anni (tanto dura il mandato) per far capire a tutti, anche agli investitori esteri troppe volte rimasti incagliati nei giochetti italiani, che il vento è cambiato.
Invece niente. Non solo i gialloverdi hanno aspettato 5 mesi a decidere, lanciando un messaggio di disinteresse per la Consob che vale di per sé a una scarsa legittimazione dell'istituzione. Ma lo hanno fatto per il solito vizio delle prime e seconde repubbliche, e cioè per tenersi una poltrona vuota pronta per quando se ne presenta la necessità. Dare un contentino a Tizio, compensare il debito con Caio, equilibrare il potere di Sempronio o piazzare il ministro divenuto scomodo. Tanto è un economista, va benissimo. Non conta nemmeno più di tanto che Paolo Savona sia stato processato proprio per reati finanziari, false comunicazioni e aggiottaggio, quando era presidente di Impregilo. Senza mai essere stato assolto, essendo il procedimento caduto in prescrizione.
Ecco perché la vicenda Consob non è solo per addetti ai lavori, bensì è
un allarme fragoroso sulla pericolosità di questo governo. Bugiardo in quanto a volontà di cambiare. E quanto meno ipocrita, nella sua battaglia tanto reclamizzata guerra contro i poteri forti, prima ancora che incapace.
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