È ormai da qualche giorno che in alcuni capannelli che si vanno formando qui e lì in Transatlantico si respira un'aria strana. Quel che è più bizzarro, non è tanto la convinzione strisciante che Giuseppe Conte sia ormai vicino al capolinea e destinato di qui a pochi mesi a lasciare Palazzo Chigi, quanto il fatto che a ipotizzarlo sia un fronte bipartisan che va dalla Lega al Pd. Una percezione diffusa, secondo cui con il nuovo anno chiuso il capitolo della legge di Bilancio il premier non riuscirà a restare in sella.
Lo dicono senza neanche girarci troppo intorno i parlamentari del Carroccio. E questo è nelle cose, visto che inevitabilmente la previsione nasconde anche un auspicio. Il punto, secondo i big della Lega, è che ora che Conte ha messo nero su bianco la sua versione del Russiagate (escludendo qualsiasi coinvolgimento dei nostri 007) rischia di essere smentito da quel che uscirà Oltreoceano. «Le contraddizioni esploderanno», sostiene Guglielmo Picchi. L'ex sottosegretario agli Esteri che nelle ultime settimane prima della crisi agostana era il candidato della Lega per la poltrona di Commissario Ue è infatti convinto che la vera natura degli incontri tra il Procuratore generale William Barr e i vertici della nostra intelligence «emergerà presto». Non è un caso, fa notare, che proprio oggi Fox News sostenga «una versione molto diversa da quella di Conte». In effetti, secondo l'emittente statunitense, Barr a Roma avrebbe «raccolto prove» a sostegno del presunto complotto anti Trump. Ma a prescindere dal Russiagate, l'aria che si respira in casa Lega è quella di un governo già in bilico. La comunicazione sulla legge di Bilancio, in effetti, è stata disastrosa. Al punto fa notare Paolo Grimoldi, presidente della delegazione parlamentare italiana presso l'Osce che «il messaggio che è passato è che il povero pensionato da domani non potrà più pagare in contanti la spesa al supermercato». Il tutto, ragiona il deputato della Lega, «solo perché Conte e Di Maio dovevano mettere le loro bandierine sulla guerra o sulla difesa del contante». A via Bellerio, insomma, la sensazione è che il Conte 2 stia facendo un po' tutto da solo. Percezione confermata dai sondaggi che, nonostante il basso profilo di Matteo Salvini di queste settimane, continuano a vedere una Lega ben oltre il 30%. Non è un caso che le ultime rilevazioni sulle elezioni di dopodomani in Umbria raccontino una forbice così ampia che se fosse confermata potrebbe diventare uno snodo importante anche per la politica nazionale.
Ma grande scetticismo sulla longevità di Conte serpeggia anche nel Pd. Qui, per ovvie ragioni, nessuno ne parla in chiaro e l'off the record è d'obbligo. In molti, però, pensano che il premier finirà la sua corsa dopo gennaio, archiviata la legge di Bilancio. Uno show down che nelle ricostruzioni di più di un big del Pd non porterà a nuove elezioni ma solo a un nuovo esecutivo. Uno scenario considerato così plausibile che in Transatlantico c'è chi non si sottrae al totopremier. Gettonatissimo per Palazzo Chigi, sia tra i dem che dentro Forza Italia, il nome del ministro dei Beni culturali Dario Franceschini, magari in tandem con Luigi Di Maio che finalmente tornerebbe vicepremier. Sono più suggestioni buttate lì che scenari plausibili, certo.
Anche perché le controindicazioni a uno schema simile sono tantissime. Il tema, però, non è tanto chi siederà a Palazzo Chigi dopo Conte. Ma il fatto che la questione da destra a sinistra sia ormai argomento di aperta conversazione nel bel mezzo del Transatlantico.
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