L'Europa ci guarda, e non è certo un bel vedere. L'immagine che di sé riflette il governo è quella di un corpaccione sfilacciato e in conflitto interno permanente, mentre sul Paese continua a pendere la spada di Damocle della procedura d'infrazione. È un rischio di cui Matteo Salvini non sembra volersi curare, imperterrito com'è nel lanciare messaggi bellicosi ai partner europei. «A Bruxelles si mettano l'anima in pace: nel 2020 tanti italiani pagheranno meno tasse, apriranno nuove imprese e ci saranno più assunzioni», annuncia il vice-premier leghista in un video-spot di 23 secondi condito da slogan come «Choc fiscale, flat tax al 15%, l'Italia riparte» e chiuso con un perentorio «ora o mai più».
Il problema è che sulla rivoluzione fiscale à la Trump il Movimento 5 Stelle pretende chiarezza sulle coperture. «Non è il caso di giocare a nascondino con i 15 miliardi di euro per fare la flat tax», ha detto ieri Luigi Di Maio riferendosi a quanto sostenuto in precedenza dal viceministro dell'Economia ed esponente del Carroccio, Massimo Garavaglia (le coperture «ci sono, ma non le dico se no Di Maio me le ruba»). Di Maio teme che, per finanziare gli sgravi, vengano sottratte risorse da misure di sostegno già esistenti, come per esempio gli 80 euro. «Lo abbiamo spiegato urbi et orbi - la risposta di Garavaglia - non si toglie niente a nessuno, semplicemente si trasforma quella che oggi è una spesa in riduzione di imposte». Semmai, secondo il vice-titolare di via XX Settembre, i problemi potrebbero derivare dall'approvazione di un pallino del M5s come il salario minimo, contro il quale il fuoco di sbarramento leghista è intenso. A Garavaglia che chiede al leader del M5S come intenda finanziare la paga oraria da 9 euro, dà man forte Claudio Durigon, sottosegretario leghista al Lavoro, convinto che questa forma di tutela per i lavoratori «non può basarsi solo su un aggravio per le imprese. Oggi si rivolge al 22% dei lavoratori, innalzare i costi per le imprese sarebbe un aggravio troppo pesante». I conti del maggiore esborso li ha fatti Rete imprese Italia: circa 6,7 miliardi in più, ogni anno, per gli imprenditori.
Mentre gli alleati di governo non si risparmiano le sciabolate, l'orologio continua a ticchettare. Il tempo, infatti, stringe. Domani verrà presentata in Consiglio dei ministri la nota di assestamento di bilancio, giovedì dovrebbe arrivare il via libera del Senato al decreto crescita, ma già oggi la palla torna nella metacampo europea con il collegio dei commissari Ue incaricato di aggiornare la situazione dei conti pubblici italiani. Nessuna decisione verrà comunque presa. Sia perchè Bruxelles aspetta di vedere l'aggiustamento del bilancio, sia perchè occorre valutare quale trattamento riservare alla situazione del 2020 che, come indica una fonte europea, «è la vera questione dell'Italia date le promesse sulla riduzione delle imposte» ancora reiterate negli ultimi giorni che porterebbero le necessità di copertura a oltre 40 miliardi. Oltre alla flat tax, nel computo vanno inseriti anche la sostituzione dell'aumento dell'Iva e il taglio strutturale del deficit previsto dalla regole comunitarie. Dai verbali della riunione dello scorso 5 giugno, appare evidente come i commissari non vogliano andare allo scontro frontale con l'Italia nel tentativo di non allargare il solco fra l'esecutivo giallo-verde e gli altri Paesi. In caso di apertura di una procedura d'infrazione il prossimo 9 luglio, a Roma verrebbero infatti concessi sei mesi, contro i tre previsti, per mettere in campo le misure necessarie per compiere lo sforzo fiscale richiesto.
La partita, a fine settimana, si sposterà
comunque oltre i confini europei, con il nodo della procedura al centro dei colloqui a margine del G20 a Osaka fra il premier Giuseppe Conte, il presidente della Commissione Ue, Jean-Claude Juncker, e i leader di Germania e Francia.
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