Il Senato vota sulla sua fine con l'incubo delle elezioni

Fra provocazioni, fischi e accuse di "regime", Palazzo Madama comincia l'esame della riforma costituzionale. Gentiloni: "Se qualcosa va storto, Renzi ci porta alle urne"

Il Senato vota sulla sua fine con l'incubo delle elezioni

Benvenuti nell'oscurissima selva di Palazzo Madama, che il senatore Razzi propone, in virtù (?) del nome, di dedicare al libero mercimonio dell'amore, ma che pure - incontrovertibilmente - potrebbe finire se non «casa chiusa» almeno aula figlia di un dio minore, camera di provincia per beghe di Strapaese.
Le riforme sono al clou, dunque, e l'ultimo presidente del Senato così come lo conosciamo (il Senato, non il presidente) evoca a inizio di seduta in maniera un po' indecente la «guerra» (di questi tempi!). C'è il grillino Santangelo che insiste per intervenire e Grasso lo redarguisce. «Non facciamo polemiche sterili, cerchiamo di andare avanti con comportamenti consoni». Santangelo sbatte il regolamento sul banco. «Non lo sbatta!», dice il presidente. «Lo sbatto tutte le volte che voglio», la replica. «Perché dobbiamo sempre esasperare i toni? Volete provocare la guerra? Volete creare un incidente?».
Ebbene sì, presidente: la risposta è certa. Si cerca l'incidente, da parte dei grillini e degli oppositori a volto scoperto di Sel, che si beccano elogi dal relatore Calderoli: «Complimenti, seimila emendamenti e il 60 per cento vive, è pertinente e a naso di buona qualità». Dovrebbe essere la giornata d'inizio votazioni, la tensione cresce, l'«incidente» è dietro l'angolo. Si vota sul ritorno in commissione (ancora?): bocciato. Si fa gioco pericoloso, tattiche ai limiti del consentito, melina a fiumi, mentre i capigruppo della maggioranza sperano nel «canguro» (l'accorpamento di votazioni) e studiano financo l'ornitologia per trovare rapaci «modi di accelerazione». Così indugiando, però, anche l'inizio delle votazioni sugli emendamenti è già slittato all'indomani. Quando il capogruppo di Forza Italia, Romani ha già previsto che si possa andare a ritoccare la materia, «se concordato prima tra noi e Pd». D'altronde pure la Finocchiaro aveva parlato di quattro punti «da approfondire». Indubbie le difficoltà del governo, della ministro Boschi, e della maggioranza minata dai «liberi pensatori» («13 sicuri», annuncia Mineo che tiene i conti nel Pd). Uno dei temi cardine ruota attorno alla sottile promessa fatta da Calderoli di chiedere voto segreto, cosa che potrebbe davvero mandare a carte quarant'otto la verve della giovane irritata (un po' irritante, ammettiamolo) ministro Boschi. La collega Finocchiaro, che fa tanto zietta delle riforme, chiude la porta inviperita: «Non mi pare che ci siano gli estremi...». Ma in un sussulto riconosce che la valutazione spetterà al presidente Grasso.
Si sprecano frasi esagerate, provocatorie persino per l'italiano. «Metteremo sui binari del treno delle riforme un sasso, due sassi, centomila sassi», minaccia il grillino Petrocelli che, assieme ai colleghi, ha già annunciato di voler andare «in direzione ostinata e contraria». Sel fa eco alla Camusso per ricordare che il Paese ha fame di lavoro e Renzi promette briosche (le riforme). Il sottosegretario Scalfarotto fa la foto ai faldoni dei 7.800 emendamenti e se le tira con un tweet: «Ecco i mattoni da rimuovere dai binari». De Cristofaro (Sel) non rimane di sasso: «Macché, noi rimuoviamo macigni di scelte sbagliate». La Finocchiaro si appella al buonsenso: «Le parole sono macigni...». Però si riferisce soprattutto alle accuse di «regime» e di «violenza sulla Costituzione» che piovono sul governo. Risponderà la Boschi, che insiste per chiudere prima dell'estate e minaccia «meno ferie per tutti». Finendo per citare tra i tumulti persino Fanfani: «Ho sentito alcuni parlare di svolta autoritaria. Questa è un'allucinazione. Parlare di svolta illiberale è una bugia e come diceva un importante politico delle mie parti le bugie in politica non servono. Non sprechiamo l'ultima chance di credibilità per la politica, le riforme sono urgenti anche per l'Europa.

Ma anche con l'ostruzionismo ce la faremo», conclude peccando di bugia almeno quanto gli altri. Se qualcosa va storto, rivela Gentiloni, «Matteo porta tutti alle urne». Affermazione che senz'altro sprigiona maggior fragranza di verità.

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