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Senatori, vergogna: altro che civiltà, volete il bavaglio

Legge salva casta: nove anni di cella se si diffamano politici o magistrati

Senatori, vergogna: altro che civiltà, volete il bavaglio

La notizia è semplice: praticamente all'unanimità la commissione Giustizia del Senato ha approvato una norma che prevede una pena fino a 9 anni di carcere nei confronti dei giornalisti condannati per diffamazione ai danni di un politico o di un magistrato.

Loro e solo loro. I signori senatori che hanno votato questa «riforma» devono preliminarmente mettersi davanti a uno specchio e fissare la loro faccia, ma non per compiere l'azione diffamatoria che voi pensate che io stia per scrivere e dalla quale invece prendo nette e sdegnate distanze (signor giudice, sia chiaro). Davanti allo specchio, dopo qualche secondo di mutismo, devono domandare a bruciapelo alla faccia riflessa puntandogli contro l'indice destro: «Sentimi bene: ma tu sei tu o tu sei uno spirito che si è impossessato di me?». Mi spiego. Il senatore della commissione Giustizia che vede riflesso se stesso è la medesima persona che ha già votato l'abolizione tout-court del carcere per il reato di diffamazione.

E manco una volta, ma più volte. Cerco di essere più preciso. Dopo le condanne di Alessandro Sallusti e del sottoscritto al carcere (carcere vero, quello dove il cielo si vede a quadri) per diffamazione o omesso controllo in qualità di direttore, i parlamentari ebbero un sussulto di dignità e giurarono che questa vergogna tutta italiana doveva cessare: un giornalista non può finire in gattabuia per quello che ha scritto, se ha sbagliato deve rettificare l'errore e casomai pagare una multa anche elevata. Magnifico. Un grande balzo verso la civiltà (sic). Succedeva in primavera e correva l'anno del Signore 2013. Per sollecitare l'approvazione della legge intervennero a più riprese la Corte europea dei diritti dell'Uomo a suon di multe contro lo Stato italiano, l'Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione Europea (Osce) con dichiarazioni al vetriolo e raccomandazioni non da meno. Mancavano i caschi blu dell'Onu e lo schieramento era al completo.

La Camera approvò la legge il 17 ottobre 2013. Si andò al Senato e qui rimase un anno prima di essere approvata il 29 ottobre 2014. Tutto a posto? Nient'affatto. Siccome il Senato apportò modifiche si tornò alla Camera mentre Corte europea, Osce, Onu gridavano: FATE PRESTO! A Montecitorio si è dovuto aspettare fino al 24 giugno 2015 per la nuova approvazione. Che, aridaje, ha visto però altre modifiche. E si ritorna allora in commissione Giustizia al Senato, dove la legge dorme ancora il sonno degli ingiusti dopo quasi un ulteriore anno di attesa. Sono così trascorsi tre anni e ancora, quantomeno nei miei confronti, pendono due condanne per complessivi sedici mesi di reclusione senza condizionale a causa di due processi intentati non da pescivendoli o lattai ma da ma.. ma... ma... esatto: magistrati. Sia chiaro: la legge non è mai stata modificata laddove cancella il carcere per il reato di diffamazione. Su questo aspetto non c'è mai stata discussione. Ora l'Ansa ci informa che la commissione Giustizia del Senato ha approvato un testo secondo il quale «il giornalista che diffama a mezzo stampa un politico o un magistrato rischia il carcere fino a 9 anni».

Per me siamo di fronte a un caso da manuale di dissociazione collettiva dalla realtà, non me lo spiego diversamente. Potrei continuare a tediarvi raccontandovi che è scientificamente provato che le cause per diffamazione intentate da magistrati e giudicate ovviamente da colleghi magistrati vanno veloci come i fulmini e che a lor signori vengono riconosciuti risarcimenti sconosciuti all'umana plebe. Oppure che i politici ricorrono alle cause come forma di intimidazione per bloccare inchieste scomode (citofonare a qualsiasi campanello di direttori di testate giornalistiche per averne conferma). Ma sapete tutto, voi amici del Giornale. Una cosa è certa. Questa iniziativa del Senato ci allinea perfettamente in tema di libertà di stampa e di espressione alle pratiche in vigore in uno degli Stati a cui questo Paese e il suo governo guarda evidentemente con invidia: la Turchia.

E adesso, signori senatori e membri del governo, se ne siete ancora capaci arrossite di vergogna, rompete quello specchio e tentate di recuperare un po' di dignità.

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