Si riapre il giallo di Simonetta Cesaroni. Nuovo testimone porta a un sospettato

La Procura di Roma torna a cercare l'assassino della giovane segretaria uccisa nel 1990. La svolta arriva da un ex poliziotto

Si riapre il giallo di Simonetta Cesaroni. Nuovo testimone porta a un sospettato

Roma. Il giallo di via Poma. A trentadue anni dalla morte di Simonetta Cesaroni spunta un terzo uomo. Dopo i primi sospetti su Pietro Vanacore, il portiere dello stabile nel quartiere Prati dove viene assassinata la 21enne segretaria romana, l'arresto e il processo al fidanzato Raniero Busco, assolto definitivamente, la Procura di Roma riapre il caso. Con un vecchio indagato e nuovi elementi.

È un testimone chiave a smentire il vecchio alibi. Oltre 20 anni di indagini, errori investigativi (non venne cercata l'arma nei cassonetti, tanto per dirne uno) e giudiziari a valanga, i magistrati ripartono da zero mettendo a verbale la testimonianza dell'allora dirigente della squadra mobile romana Antonio del Greco. Top secret su quanto l'ex poliziotto avrebbe detto ai pm sul personaggio già indagato a suo tempo dalla polizia. E se nel '90 a far abbandonare i sospetti su di lui era stato un vuoto temporale del custode dello stabile proprio nell'ora del delitto, tra le 17,30 e le 18,30 del 7 agosto 1990, oggi sarebbero emerse nuove prove per un avviso di garanzia. È la soluzione del caso? Un delitto che diventa un affare nazionale quando si intrecciano trame oscure di servizi deviati e criminalità organizzata (Banda della Magliana). La pista più accattivante, poi abbandonata per mancanza di prove, vedeva la Cesaroni coinvolta, suo malgrado, in importanti segreti contenuti nell'archivio della società per cui lavorava, prove di favori fatti dalla stessa alla banda di Abbatino e compagni con il benestare del Vaticano e la complicità dei servizi italiani. Ma i documenti non sono stati mai trovati e anche questa pista viene abbandonata.

Sull'omicidio resta per anni l'ombra dei servizi italiani che avrebbero avuto una sede di copertura nello stesso stabile in cui la ragazza di Cinecittà viene uccisa con 29 colpi inferti, probabilmente, con un tagliacarte. Chi era entrato al numero 2 di via Carlo Poma in un afoso pomeriggio di agosto con l'intenzione di violentare Simonetta e poi, non riuscendoci, ucciderla a stilettate? Un giallo caratterizzato persino da false testimonianze, come quella di Roland Voller, un austriaco informatore della polizia che accusa del delitto Federico Valle. E di strani suicidi, come quello dello stesso Vanacore che nel 2010 si uccide gettandosi in mare «per le sofferenze subite in 20 anni» come scrive in una lettera. Un filone porta addirittura a un intreccio di affari illeciti scoperti dalla Cesaroni di personaggi dei servizi, affari sporchi connessi con dei programmi di cooperazione e sviluppo della Somalia. Tanto da mettere in collegamento la sua morte con il suicidio nel '95 del colonnello del Sismi Mario Ferraro. Tutte piste che, però, non portano a nulla. Ma alla sbarra ci finisce Busco, condannato in primo grado nel 2010 a 24 anni di carcere, prosciolto in appello nel 2012 e dichiarato non colpevole in via definitiva dalla Cassazione del 2014.

Per i giudici della III Corte d'Assise a inchiodare Busco è una sola perizia, quella di un pool di consulenti. Per gli esperti i segni lasciati sul capezzolo sinistro della vittima sarebbero appartenuti a lui. Ma non è vero e la I Sezione d'Appello lo proscioglie con formula piena.

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