Arriverà l'ora fissata e l'Italia si fermerà. Un silenzio irreale calerà sul Belpaese, sessanta milioni di persone, neonati compresi, cesseranno di colpo ogni attività e si assieperanno col fiato sospeso davanti alle televisioni e nei pressi delle radio. Salvini smetterà per un attimo di twittare e Di Maio, con fiero cipiglio, si stringerà a Rocco Casalino. Saranno attimi interminabili colmi di tensione. Poi riecheggerà la Sua voce, inconfondibile, e come d'incanto una nuova strada si aprirà davanti ai nostri passi non più incerti. Oggi, Giuseppe Conte, parlerà «agli italiani», e saranno, come sempre, parole vuote di senso politico perché estranee alla realtà. No, non è stato, come spavaldamente annunciato dal premier per caso, «un anno bellissimo». La disoccupazione non è stata sconfitta, l'Europa non è stata piegata, l'interesse nazionale non è stato tutelato. Stiamo, oggi, decisamente peggio di come stavamo un anno fa. Siamo in piena stagnazione, con una crescita allo 0,1%, un deficit reale al 3,5, uno spread peggiore persino di quello greco. Dunque, denaro più caro e mutui più alti. Non si può dire sia colpa di Giuseppe Conte, che evidentemente regna ma non governa. Conte come Benito Cereno. Il premier italiano come il comandante del mercantile spagnolo narrato da Melville: apparentemente nel pieno dei propri poteri, di fatto impotente. Gli schiavi che trasportava hanno preso il controllo della sua scalcagnata e claustrofobica nave, e quando si è avvicinata un'imbarcazione americana lo hanno piazzato sulla tolda con la sciabola al fianco a simulare quella funzione che la realtà delle cose gli impedisce di esercitare. Una finzione, un gioco delle parti, una dissimulazione tutt'altro che «onesta». Come tutt'altro che onesta appare la promessa della coppia Di Maio-Salvini di fare oggi quelle riforme economiche che non vollero fare ieri. Dopo aver dilapidato 15 miliardi in provvedimenti spot, col debito pubblico ormai fuori controllo e i relativi interessi in crescita, né il salario minimo né una minima flat tax saranno possibili. Serviranno al massimo come cavalli di battaglia per la campagna elettorale di fatto già iniziata. Cavalli zoppi, evidentemente.
Cavalli zoppi per un premier azzoppato, che come Benito Cereno riuscirà forse a mettersi in salvo balzando all'improvviso sulla barca americana, mentre alle sue spalle qualcuno si incaricherà di mettere i ferri agli schiavi ribelli.
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