"Single, gonne corte, rossetto". Decalogo per le allieve-schiave

Nel regolamento della scuola di formazione anche colore dello smalto e tipo di trucco. Pena umiliazioni e ritorsioni

Sito rivista Diritto e Scienza
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Indicava anche la lunghezza esatta di gonne e vestiti che dovevano indossare le sue allieve nelle varie occasioni più o meno formali, il colore dello smalto, il tipo di trucco per esaltare labbra e zigomi. Era tutto scritto nel regolamento che sottoponeva alle giovani che frequentavano i suoi corsi post-universitari per la preparazione al concorso in magistratura. Umiliate, denigrate, intimidite e sopraffatte al punto da non riuscire a reagire a questa sottomissione psicologica.

Nell'ordinanza di custodia cautelare i particolari, già usciti sui giornali, su come Bellomo gestiva la sua scuola di formazione - con sede a Bari e corsi anche a Roma e Milano - si colorano di ulteriori dettagli, ai limiti dell'inverosimile. L'ex consigliere di Stato utilizzava le borse di studio per avvicinare le allieve verso le quali nutriva interesse e per esercitare su di loro un potere di controllo personale e sessuale, poi faceva sottoscrivere loro un contratto per disciplinarne i doveri. Un vero e proprio codice di condotta, nonché di abbigliamento. C'era il dress code «classico» per gli eventi burocratici, «intermedio» per corsi e convegni ed «estremo» per eventi mondani. Quest'ultimo prevedeva «gonna molto corta (1/3 della lunghezza tra giro vita e ginocchio), sia stretta sia morbida, più maglioncino, oppure vestito di analoga lunghezza». Anche per il trucco c'erano rigide prescrizioni: «Rossetto acceso e valorizzazione degli zigomi». La propria immagine andava curata anche dal «punto di vista dinamico (gesti, conversazione, movimenti) onde assicurare il più possibile l'armonia, l'eleganza e la superiore trasgressività», al fine di pubblicizzare l'immagine della scuola. Se le ragazze non corrispondevano ai suoi desiderata, scattavano umiliazioni, ritorsioni personali e professionali, come per esempio la pubblicazione sulla rivista online della scuola delle loro vicende personali. È accaduto a una borsista che aveva osato ribellarsi: punita con la diffusione di una trentina di articoli e foto che raccontavano e mostravano aspetti della sua vita privata. Sarebbe stato addirittura indetto un concorso tra i lettori della rivista, promettendo premi a chi avesse fornito la migliore spiegazione ai suoi comportamenti. Una delle ragazze, spaventata, aveva confidato alla sorella di aver firmato «un contratto di schiavitù sessuale».

«Preferisco non parlarti, direi cose molto pesanti. Gli altri non ti stimano, né fisicamente né moralmente», è il testo di uno degli sms inviati da Bellomo a una delle ricercatrici con le quali aveva avuto una relazione. E ancora: «Ti sei rovinata vita e carriera. Esegui ciò che ho detto e trovati un buon avvocato». Tra gli obblighi imposti alle borsiste c'era quello di fedeltà nei confronti del direttore scientifico e il divieto di avere relazioni intime con chi non raggiungeva un determinato punteggio, attribuito sempre secondo l'insindacabile giudizio di Bellomo. Per accedere alle borse di studio era necessario essere single, come dimostrerebbero le pressioni, denunciate da una delle giovani, esercitate dall'ex magistrato affinché lasciasse il fidanzato.

L'accusa di estorsione si riferisce invece a un'allieva costretta a rinunciare, pena la revoca della borsa di studio, a un impiego in tv perché incompatibile con l'immagine di aspirante magistrato. Diktat precisi anche per far pace dopo un litigio: «Quando entro ti metti in ginocchio e mi dici Ti chiedo perdono, non lo farò mai più».

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