La sinistra astensionista si scopre nemica del Nord

Dopo aver finto di sostenere il Sì, il Pd diserta le urne e boicotta il voto. Prodi: "È uno show contro l'unità"

La sinistra astensionista si scopre nemica del Nord

Scaduto l'obbligo di apparire favorevoli (quantomeno moderatamente, e con molti però) alla richiesta di maggiore autonomia di Lombardia e Veneto, a sinistra si scoprono finalmente le carte. E riemerge l'antica diffidenza verso il Nord, tradizionalmente un terreno di sconfitte elettorali per il Pd, e l'ostilità aperta alle rivendicazioni «nordiste» su risorse e competenze regionali. Anche il sindaco milanese Giuseppe Sala, che pure si era esposto pubblicamente impegnandosi a votare sì («il referendum si poteva evitare, ma ormai c'è quindi andiamo a votare e votiamo sì»), alla fine è rimasto a casa. Allineandosi così perfettamente alla posizione del suo mentore nel partito democratico, il ministro Maurizio Martina, che - caso singolare per un ministro della Repubblica, per giunta lombardo, bergamasco - ha invitato i lombardi a infischiarsene della consultazione e allargare le fila dell'astensionismo («Oggi astensione consapevole al referendumlombardia. Si è sprecato tempo e denaro per un quesito inutile» ha twittato il piddino). Ironizza il governatore Maroni sul sindaco astensionista: «Mi ha fatto piacere che Sala si sia schierato per il sì, poteva fare un piccolo sforzo, anche simbolico, per venire a votare. I gesti simbolici sono importanti». Nemico giurato del referendum lombardo-veneto è un padre del Pd come Romano Prodi, che già nei giorni scorsi lo aveva già ridicolizzato come una sagra dell'egoismo nordico, perchè «riguarda solo l'avere due lire in più», siccome «qui ci sono un po' di soldi in più, ce li teniamo, puntiamo a cercare di tenere i nostri soldi». Il giorno della consultazione l'ex premier ulivista è tornato alla carica, con un editoriale sui giornali del gruppo Caltagirone. Una intervento titolato dal Mattino così: «L'autonomia dei ricchi mette a rischio l'unità». Il succo dell'articolo del Professore è che il referendum sarebbe una trovata dei due governatori leghisti «per ottenere più visibilità politica», uno «show» lo definisce acidamente Prodi, che si augura invece che «si arrivi presto a fare proposte che si facciano carico dell'interesse di tutti», non solo delle richieste egoistiche di lombardi e veneti (lo stesso quotidiano napoletano pubblica anche una surreale analisi, sul filone del vittimismo meridionalista, per cui con il referendum «il Nord vuole prendere i soldi del Sud»).

Un altro grande odiatore del ricco nord egoista di centrodestra è l'ex ambasciatore della Fiat a Manhattan, quindi senatore dell'Ulivo, Furio Colombo. Sul Fatto, l'ex direttore dell'Unità si scaglia direttamente contro le due regioni colpevoli di referendum: «Lombardia e Veneto, tra le più ricche regioni del mondo, hanno indetto un referendum-imbroglio costruito come propagande per le prossime elezioni - si infervora Colombo dal suo attico nel centro di Roma - Vogliono dichiarare pubblicamente che non vogliono contribuire in alcun modo alle condizioni economiche di vita del loro Paese.

Qui c'è ricchezza e non si divide, scontino la disgrazia di non essere nati a Milano o in Veneto» prosegue in un crescendo rossiniano Colombo, che poi consiglia ai lombardi e veneti intenzionati a votare, di farlo in maschera perché poi se ne vergogneranno. Purtroppo per Colombo & Co, molti più del previsto.

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