Spiato anche Berlusconi: «Napolitano vuol farmi arrestare»

Spiato anche Berlusconi: «Napolitano vuol farmi arrestare»

RomaMentre la Procura di Napoli si concentra sui rapporti tra i finanziamenti alle fondazioni e i partiti, e tra questi e le cooperative - come chiesto con un esposto del vicepresidente della Camera Luigi Di Maio (M5S), che ieri ha incontrato i pm napoletani - l'inchiesta sulla metanizzazione di Ischia, che ha coinvolto la coop rossa Cpl Concordia e dato qualche grattacapo a Massimo D'Alema citato nelle intercettazioni, va avanti con gli interrogatori di garanzia delle otto persone arrestate (più una ai domiciliari e altre due con l'obbligo di firma) e il concreto rischio di trasformarsi in qualcosa di più esplosivo di un'indagine per mazzette e appalti pilotati.

Intanto nelle carte spunta anche il nome di Silvio Berlusconi, citato nel riassunto di una telefonata intercettata l'11 maggio 2014 tra l'ex premier e l'ex parlamentare Amedeo Laboccetta, il cui telefono era sotto controllo. Berlusconi «dice- annotano i carabinieri in un'informativa - che i giudici, anche su ordine del capo dello Stato (Giorgio Napolitano, ndr ), aspettano soltanto un suo passo falso per avere la scusa e arrestarlo».

L'ex sindaco dell'isola Giuseppe Ferrandino è stato il primo a rispondere al gip Amalia Primavera che lo ha fatto arrestare. Ha contestato tutte le accuse mosse dal pm Henry Woodcock: mai favorito la coop e mai firmato alcun atto per il conferimento degli appalti. Al giudice ha consegnato carte che dimostrerebbero come le opere per la metanizzazione del Comune di Ischia siano state affidate nel 2004, con i primi pagamenti dell'ente nel 2006, anni in cui non era primo cittadino. Anche il viaggio in Tunisia, che secondo i pm sarebbe stata una delle utilità ricevute dalla cooperativa in cambio dell'aggiudicazione delle gare, non ci sarebbe mai stato. Anzi lui in Tunisia - dove la Procura ritiene che la Cpl accumulasse fondi neri con cui retribuire i pubblici ufficiali che la agevolavano con gli appalti - non ci avrebbe mai messo piede. Neanche le due convenzioni fittizie per 320mila euro con l'hotel di famiglia Le Querce, che avrebbe messo a disposizione alcune stanze per i dipendenti della società modenese e anche queste considerate prezzo della corruzione, sarebbe opera sua: con quell'albergo non avrebbe alcun rapporto. Soltanto a cose fatte, inoltre, avrebbe saputo della consulenza affidata dalla coop modenese al fratello Massimo, anch'egli finito dietro le sbarre. Però il legale di Ferrandino, Alfonso Furgiuele, non ha chiesto la scarcerazione: «Non abbiamo fatto alcuna istanza - spiega - aspettiamo che siano conclusi gli interrogatori affinché i giudici possano avere una visione chiara. Posso dire che Ferrandino ha risposto su tutti i punti». Si è difeso anche Roberto Casari, ex presidente della Cpl, sostenendo tra l'altro che la scelta dell'albergo con cui stipulare la convenzione fu dettata dalla bellezza e dalla comodità della struttura. Non esisterebbe alcuna relazione con il fatto che quello fosse l'hotel della famiglia del sindaco. Avrebbe una spiegazione anche l'affidamento della consulenza a Massimo Ferrandino: sapendo che il sindaco aveva un fratello avvocato pensò di nominarlo difensore in una causa a Vallo della Lucania dove ottenne un buon risultato, tanto da convincerlo ad affidargli un incarico di consulente. E le 500 copie del libro di D'Alema? La coop le avrebbe acquistate come faceva sempre anche con i libri di altri autori per regali nell'ambito delle pubbliche relazioni.

Sulla vicenda è intervenuta Daniela Santanché. «Mi sembra evidente - ha detto la deputata di Fi - che le cooperative non possono continuare a essere degli enti privilegiati dal punto di vista del pagamento delle tasse perché morali. Paghino i tributi anche loro».

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