Era l'araldo dell'orrore. La sua voce chiamava all'azione i lupi solitari. La frase più famosa di Abu Muhammad al-Adnani era quella con cui, già nel 2014, invitava ad uccidere gli infedeli utilizzando qualsiasi arma a disposizione, da un semplice sasso a un'automobile. Frase che, si dice, abbia ispirato anche il massacratore di Nizza. Da ieri la voce del terrore, considerato il capo della cellula che pianificava gli attentati all'estero e uno dei mandanti delle stragi di Parigi nonché numero due dell'Isis, si è spenta per sempre: al-Adnani è stato ucciso nella regione di Aleppo.
Ma la scia dell'orrore lasciata da al-Adnani e dai suoi complici non scompare. Insieme alla notizia della morte ieri sono state diffuse le prime stime sulle fosse comuni e sulle esecuzioni di massa messe a segno dallo Stato islamico sin dal 2014. L'orrore dello sterminio non era neppure un segreto. I primi a diffondere le immagini delle esecuzioni di massa dei loro prigionieri furono i responsabili dello Stato Islamico. Compiaciuti della propria ferocia e certi di poterla trasformare in un deterrente per impaurire i nemici filmarono la propria barbarie e la trasformarono in propaganda. Eppure anche davanti alle immagini di centinaia di yazidi e soldati sciiti condotti al macello qualcuno si sforzava di non vedere. S'illudeva, nel nome della propria umanità, di ridimensionare la devastante cinica crudeltà dei terroristi islamici. Ora anche l'ultima illusione è crollata. Mentre le sconfitte militari costringono alla ritirata il Califfato la marea delle bandiere nere lascia spazio ai propri orrori. Sono le fosse comuni, i dirupi, i semplici cumuli di terra dove i barbari del Corano hanno gettato i resti delle proprie vittime. Quanti siano in tutto i siti dell'orrore non lo sa ancora nessuno. Ed ancor più difficile è immaginare quanti cadaveri contengano. Le prime stime, messe insieme collegando i racconti dei superstiti, le dichiarazioni di rari testimoni e alcuni rilevamenti satellitari capaci d'individuare le zone dove la terra è stata smossa hanno permesso la scoperta, fin qui, di 72 siti in cui riposerebbero dai 5mila ai 15mila cadaveri. La prima tappa nella difficile opera d'identificazione è stata documentata dall'Associated Press che sostiene di aver individuato 17 siti in Siria, molti dei quali ancora inaccessibili, e 55 in Iraq di cui almeno 16 non ancora ispezionabili. Una delle stragi documentate con assoluta certezza è quella del villaggio yazida di Hardan nel nord dell'Iraq. Nascosto tra le case di Gurmitz, distante meno di un chilometro e sovrastante quelle di Hardab, Arkan Qassem osservò impotente l'eliminazione, per sei notti consecutive, di centinaia di suoi correligionari freddati con un colpo di kalashnikov alla nuca e poi ricoperti di terra grazie ad un bulldozer.
Altre volte è ancora materialmente impossibile raggiungere i luoghi dello sterminio rimasti dietro le linee del Califfato o nella terra di nessuno. Uno di questi, individuato dall'Ap utilizzando alcune immagini satellitari, dovrebbe contenere i corpi di almeno 600 sciiti massacrati nel giugno 2014 dopo esser stati prelevati dalle celle della prigione di Badoush, non lontano da Mosul. L'aspetto più inquietante, secondo quanto rivela la stessa Ap, è che anche nelle zone liberate dell'Iraq settentrionale nessuno sembra molto interessato a recuperare i corpi. Il sospetto vale soprattutto per le vittime di fede yazida, una minoranza religiosa considerata pagana dai fanatici dell'Isis, ma vista con poca simpatia anche da alcuni gruppi curdi, diventati - grazie agli aiuti internazionali - egemoni nelle zone settentrionali del Paese.
«Sembrano far di tutto per distruggere la memoria del popolo Yazide - ripete Naomi Kikoler, un esperto del Museo dell'Olocausto di New York mandato a visitare la zona -. Non c'è nessun tentativo di documentare sistematicamente i crimini perpetrati, conservarne l'evidenza ed assicurarsi che le fosse comuni vengano individuate e protette».
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