«Cesare Battisti ha capito che era la fine quando ci ha visto nell'ufficio dell'Interpol. Si è letteralmente accasciato su una sedia con una smorfia come se pensasse: Mi hanno beccato». Il primo dirigente di polizia, Emilio Russo, racconta così al Giornale lo storico arresto della primula rossa. Assieme al vice questore Giuseppe Codispoti e all'appuntato della Guardia di finanza Sandro Piatto ha seguito le tracce dell'ex terrorista dal Brasile alla Bolivia riportandolo in Italia dopo 37 anni di latitanza.
Come lo avete catturato?
«Grazie a un'attività di polizia vecchio stile. Prima con una serie di controlli sui tabulati telefonici e sulle celle agganciate dal numero di cellulare utilizzato da Battisti. Così abbiamo ristretto il cerchio a due quartieri della città boliviana di Santa Cruz, Urbari e Santa Rosita. E poi abbiamo monitorato il territorio con pattugliamenti in borghese. L'Interpol boliviana ha messo in campo tutti gli uomini che aveva, circa 40 e c'eravamo anche noi tre italiani».
Il filmato di Battisti che passeggia ha dato il via all'arresto?
«Alle 16.40 del 12 gennaio, un collega boliviano impegnato nelle ricerche ha filmato Battisti che camminava per strada. Ci ha subito girato il video e abbiamo fatto un riscontro dei tratti somatici. Verso le 17, ora boliviana, (le 22 in Italia ndr) abbiamo dato l'ok e l'hanno fermato. Non c'è stato bisogno di usare la forza. All'inizio lo stesso Battisti deve avere pensato che fosse un normale controllo di polizia. Ha capito che era la fine nell'ufficio dell'Interpol quando ci ha visto. In quell'istante si è accasciato letteralmente sulla sedia. Ha fatto una smorfia come se pensasse: Mi hanno beccato».
E poi?
«Ho chiamato il numero due della polizia nel cuore della notte, il prefetto Nicolò D'Angelo, dicendogli: Capo lo abbiamo preso. Battisti si è appisolato sul divano e gli abbiamo dato una coperta. C'era un vetro che consentiva di osservare quello che faceva, ma lui non ci vedeva. Abbiamo montato la guardia dandoci il cambio senza mai perderlo d'occhio».
Ma come siete riusciti a stringere il cerchio?
«In dicembre siamo andati in Brasile, ma la polizia aveva perso le tracce di Battisti. Abbiamo cominciato a lavorare sull'ipotesi di fuga in Bolivia avvisando tutti i paesi confinanti. Battisti aveva sconfinato via terra lungo la direttrice che porta a Santa Cruz. Siamo rientrati a Roma ripartendo il 5 gennaio per la Bolivia. La polizia locale aveva trovato una piccola locanda (Casona Azul ndr), dove Battisti ha dormito da metà novembre al 5 dicembre. Il proprietario l'ha riconosciuto dalle foto che gli abbiamo fatto vedere. Ed è stato proprio l'albergatore a darci le dritte giuste: Battisti faceva ogni giorno lunghe passeggiate e ordinava la pizza in un determinato locale».
Però era sparito
«Con i tabulati della pizzeria abbiamo individuato il suo ultimo numero. Dal 4 gennaio, però, il telefono era morto. Allora abbiamo circoscritto l'area grazie alle celle alle quali si era agganciato nelle chiamate precedenti. Così abbiamo individuato i due quartieri. La passeggiata quotidiana l'ha condannato».
Cosa può dirci della rete che ancora lo aiutava?
«Su questo ci sono attività investigative in corso».
Siete stati diverse ore con lui. Come si comportava?
«In volo ha parlato pochissimo e chiesto un libro da leggere. Neanche il calcio gli interessava a tal punto che ha detto: Non sono mai stato al Maracanà (famoso stadio brasiliano ndr). Sembrava rassegnato alla sconfitta, un uomo stanco di scappare. Guardava dal finestrino forse sperando di atterrare in Brasile, che per tanti anni è stato il suo rifugio».
Sui delitti per i quali è stato condannato o sulla latitanza ha detto qualcosa?
«Glissava su qualsiasi tentativo di acquisire informazioni. Ha detto solamente so che mi aspetta il carcere a vita».
Quando è sceso dall'aereo a Ciampino con il suo collega e Battisti in mezzo cosa ha provato?
«Ho pensato alle famiglie delle vittime e mi sono detto: L'abbiano portato a casa. Giustizia è fatta».
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