Dal ministero niente soldi per la vigilanza. E per fermare i tombaroli l'archeologo paga di tasca propria i guardiani.
A cercarla da Mont'e Prama, l'Italia non si vede. Non all'orizzonte, non sulle mappe. Sulle montagne che sovrastano Cabras, nel cuore della Sardegna, lo Stato sembra non aver mai messo piede. E neppure pare volercelo mettere. Nella terra che custodisce nella sua pancia i tesori della civiltà nuragica e le tracce del passaggio dei fenici, il presente come il futuro dipende dagli uomini e donne di buona volontà e da qualche ente che ancora non ha smarrito il senso della sua missione. E resta appeso a quei «generosi atti di liberalità» - come con burocratica sufficienza li definisce in una nota l'ineffabile ministero dei Beni culturali - a cui è legata, ad esempio, la pulitura delle grandi statue ritrovate di recente.
Li chiamano i Giganti: sono sculture a tutto tondo di più di due metri d'altezza, scolpite in arenaria gessosa, risalenti a un periodo compreso tra il IX e l'VIII secolo a.C.. Nel Mediterraneo, le più antiche. Raffigurano arcieri, pugilatori, guerrieri, modelli. Tra il 1975 e il 1979 sono state rinvenute 52 tombe. Un'altra decina è stata riportata alla luce nelle settimane passate, dagli esperti della Scuola di specializzazione in beni archeologici dell'università di Sassari, diretta da Raimondo Zucca; e la traccia di un altro «gigante» (il terzo nel giro di poco tempo) sarebbe stata individuata proprio ieri.
Ma neppure il tempo di annunciare la scoperta, che una notte di settembre l'area archeologica è finita preda dei ladri di storia. Cercavano oggetti preziosi e corredi funerari: spostato il pesante lastrone che ricopriva un sepolcro, hanno scavato a colpi di piccone, riducendo in frantumi uno scheletro prima di dileguarsi. L'indomani l'unica risposta certa (e seria) è arrivata da Zucca. Che nel silenzio dei travet romani, mentre la Regione strombazzava d'avere allo studio «un sistema organico ed efficiente di protezione e vigilanza», ha ingaggiato a sue spese una squadra di vigilantes notturni per garantire la tutela del parco archeologico. «Ho pagato per le prime notti, perché era importante intervenire tempestivamente. Poi sono subentrati altri, con fondi rastrellati nelle pieghe dei loro magri bilanci», puntualizza Zucca. Gli altri: l'università di Sassari. «Il nostro impegno non può durare a lungo - precisa il rettore Attilio Mastino - ma non possiamo accettare passivamente che i tombaroli irrompano nel sito nel tentativo di saccheggiare, distruggere, deteriorare comunque un bene così prezioso, patrimonio di tutti». E così a Mont'e Prama sono arrivate le guardie giurate che per conto dell'ateneo già tengono d'occhio il centro universitario di Oristano. Nessun altro: la Soprintendenza non ha fondi e Roma, per provare ad arginare le polemiche, ha battuto un colpo col sottosegretario (sardo) Francesca Barracciu: «Le statue saranno trasferite al museo di Cabras. Nelle prossime settimane comincerà la gestione diretta degli scavi». Nel frattempo, si continuerà come se nulla fosse. Perché «il sito archeologico si trova in aperta campagna e l'unica forma di controllo efficace è la vigilanza mediante il presidio attualmente garantito dall'università», ha fatto sapere sabato scorso il Mibac, senza provare anche solo a promettere qualche soldo.
Avanti, dunque, contando sul buon cuore dei privati e dell'università sassarese. Eppure, osserva l'archeologo Marcello Madau, «la vigilanza d'un luogo come Mont'e Prama non può pesare sull'iniziativa singola o sulla generosità del volontariato.
È un compito delicato, professionale, anche rischioso: non è un caso che la custodia dei beni culturali, nei musei, preveda una vigilanza armata». Qualcuno, passando dalle parti del Collegio Romano, provi a spiegarlo al ministro Dario Franceschini.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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