"Le sue politiche liberali resteranno un unicum"

Il conduttore Mediaset: «Rimango allibito per i suoi guai giudiziari ma ne riconosco i meriti»

"Le sue politiche liberali resteranno un unicum"

Milano È il giorno del giudizio. Che non può cancellare quel che Roberto Formigoni ha saputo costruire in quasi vent'anni di guida della Regione Lombardia. Paolo Del Debbio, volto popolare delle reti Mediaset, presto in onda con un nuovo talk, «Diritto e rovescio», traccia un bilancio che non può appiattirsi sull'aritmetica giudiziaria: «Formigoni ha preso il mitico programma liberale del '94, quello sbandierato da tutti e poi puntualmente rimesso in qualche cassetto, e l'ha fatto diventare realtà. Non tutto per carità, ma i suoi meriti, al di là delle vicende giudiziarie, che pure mi lasciano perplesso, mi paiono innegabili».

Da dove cominciamo? Dalla sanità?

«Certo. Prima c'erano gli ospedali per i ricchi, e quelli per i poveri, di solito strutture pubbliche di livello inferiore».

Il cambiamento?

«L'intuizione giusta è stata quella di inserire il pubblico e il privato in un unico circuito virtuoso, attraverso il sistema degli accreditamenti, e di aprirlo a tutti i cittadini, senza le divisioni e le barriere di prima».

Ci furono critiche furibonde.

«Sì, ma quelle più feroci non vennero dall'opposizione al Pirellone ma dal ministro Rosy Bindi che aveva una visione statalista, a mio modo di vedere antiquata, e che non capiva la portata dell'innovazione: fornire alle classi sociali più deboli servizi e cure d'eccellenza, favorendo una sana concorrenza e dunque la crescita del pubblico e del privato».

Gli scandali?

«Solo chi non fa non sbaglia. Ci sono stati arresti e casi di corruzione, ma è purtroppo fisiologico nell'arco di tanti anni. La verità è che il sistema è cambiato e la Lombardia è diventata su questo versante uno delle regioni più avanzate d'Europa. Lo stesso è accaduto sul fronte dell'educazione».

Si riferisce al buono scuola?

«Certo. Il principio ero lo stesso: dare una dotazione economica alle famiglie per permettere loro di scegliere senza problemi la scuola migliore per i figli. Pubblica o privata. Senza demonizzazioni, senza divisioni, senza gli steccati di prima. E poi ricordo quell'altra idea, molto suggestiva e concreta, degli sgravi fiscali per le famiglie che si riunivano in associazioni e facevano nascere piccoli asili di quartiere».

Risultato?

«Decine di risposte sul campo ai bisogni di migliaia di famiglie. Senza proclami e frasi retoriche, ma fornendo un aiuto concreto a mamme e papà che non sapevano dove sbattere la testa. Per questo, insisto, Formigoni è un unicum nella storia nazionale: è stato lui a togliere dalla naftalina interi capitoli del programma varato dal centrodestra all'inizio della Seconda repubblica».

Lei a suo tempo ha anche scritto con l'ex governatore un libro a quattro mani, Una rivoluzione possibile. Ma la rivoluzione non è finita in un altro modo?

«Questo finale sulla soglia del carcere mi lascia basito: non l'avrei mai immaginato. Ma i fatti per fortuna restano, quel libro li documenta e documenta uno dei momenti più felici del riformismo italiano. Pensi, ad esempio, agli sportelli aperti dal Pirellone nelle diverse città, da Bergamo a Brescia, per avvicinare l'istituzione al territorio. O alla grande efficienza della macchina pubblica, raggiunta anche grazie all'azione di dirigenti e funzionari bravissimi, come Nicola Sanese e tanti altri. Alcuni pure risucchiati in processi dolorosi ma rimpianti da tutti».

Formigoni viene spesso dipinto come lo sponsor di obliqui interessi privati. Un pregiudizio?

«Ci saranno stati errori e deviazioni, ma in quell'epoca si realizza anzitutto una felice sintesi, frutto di una rivoluzione culturale, fra pubblico e privato.

Due motori, la Lombardia che mette il turbo, i cittadini pronti a premiare ad ogni tornata elettorale questa esperienza. E il suo artefice, un possibile leader nazionale di grande caratura. Mi pare davvero misero chiudere questa storia fra le carte di un processo che non mi ha mai convinto».

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