La Conferenza di Berlino ha partorito un accordo di 55 punti sulla fine del conflitto in Libia, che suona un po' fragile, se non un libro dei sogni, almeno per ora. La padrona di casa, Angela Merkel, ha ammesso che «non tutti i problemi sono stati risolti». Solo il monitoraggio del cessate il fuoco e una futura conferenza «intra-libica» sono stati accettati dai convitati di pietra, il premier libico Fayez al Serraj e il generale Khalifa Haftar, mai seduti assieme attorno al tavolo negoziale. La tregua dovrà diventare un cessate il fuoco permanente passando l'esame sul campo di battaglia a Tripoli. Al Serraj e Haftar hanno accettato il sistema di monitoraggio dello stop ai combattimenti grazie ad un comitato militare congiuntoche dovrebbe riunirsi già la prossima settimana sembra a Ginevra. Sempre in Svizzera si riunirà una conferenza intra libica a data da destinarsi per discutere il futuro politico del paese. Un passo in avanti della cancelliera tedesca, Angela Merkel, annunciato assieme al segretario generale dell'Onu Antonio Guterres e appoggiato soprattutto dai russi che erano rappresentanti dal presidente Vladimir Putin. Anche i francesi con il capo dello Stato, Emmanuel Macron e gli americani hanno giocato un ruolo inviando nella capitale tedesca il segretario di Stato Mike Pompeo.
Il presidente turco, Recep Tayyip Erdogan, è andato via prima perché sarebbe obbligato pure lui a rispettare l'embargo delle armi ribadito dal documento di Berlino che impegna tutti gli attori internazionali «a non interferire nel conflitto armato o negli affari interni della Libia». I 55 punti approvati sono divisi in 7 capitoli. Il primo riguarda la tregua e l'embargo, che dovrebbe prevedere sanzioni per chi continuasse a violarlo. Il secondo sul futuro politico del paese con la nomina di un nuovo governo unitario nominato anche dal parlamento di Tobruk fedele ad Haftar. Il premier Serraj ha messo il veto. Un altro capitolo riguarda la creazione di un vero esercito nazionale e lo smantellamento delle milizie, nodo al momento insormontabile. Altro capitolo complesso è l'accordo sulla società petrolifera nazionale, messa a dura prova dalle chiusure dei pozzi delle ultime 48 ore. La missione di interposizione o monitoraggio europea tanto caldeggiata dall'Italia non viene citata. Forse se ne parlerà al Consiglio di sicurezza dell'Onu, che dovrà suggellare i 55 punti della Conferenza di Berlino.
Il documento mette in guardia sul pericolo di una Libia «terreno fertile per le organizzazioni terroristiche». I siriani, ripresi in video alla periferia di Tripoli mentre urlano Allah o akbar sono stati arruolati dai turchi fra le forze anti Damasco della provincia di Idlib, ancora controllata da forze jihadiste, per combattere Haftar. Non è un caso, che Ahmed al-Mismari, portavoce dell'autoproclamato Esercito nazionale libico abbia lanciato ieri un messaggio diretto al nostro paese. «Nelle ultime 48 ore più di 41 terroristi siriani hanno lasciato le coste di Tripoli diretti verso l'Italia con l'aiuto dei trafficanti di esseri umani sostenuti dal Governo di accordo nazionale (di Serraj nda)» ha detto l'uomo di Haftar. Serraj in un'intervista al quotidiano tedesco Welt am Sonntag ha attaccato gli europei: «Sono arrivati troppo tardi e divisi. Ci saremmo aspettati che la Ue si schierasse in modo chiaro contro l'offensiva di Haftar».
Il generale ha preferito rispondere con la chiusura di altri due pozzi nel sud del paese compreso il campo El Feel gestito anche dall'Eni. Il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, e il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, presenti a Berlino hanno cantato vittoria.
Il premier ha sostenuto che l'Italia «ha lavorato molto e intensamente» per il documento finale e che saremo «in prima fila per il monitoraggio della pace» con i nostri militatri. Peccato che sono stati fatti i conti senza le reali intenzioni di Serraj, Haftar, parte dei loro padrini come la Turchia, gli Emirati arabi e le milizie sul terreno che dovranno far tacere le armi.
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