Roma«La Spagna nel 2015 potrebbe essere il Paese dell'Unione europea con la maggiore crescita economica e con la maggiore creazione di posti di lavoro, ma dobbiamo essere prudenti e non fare troppo clamore». Il premier spagnolo Mariano Rajoy nella sua quinta intervista dell'anno (quasi un record, l'anno scorso furono solo tre) ha voluto dispensare un po' di ottimismo. L'esecutivo di Madrid ieri ha potuto annunciare due dati economici importanti per un Paese ancora alle prese con i postumi di una crisi devastante. A marzo sono stati creati 60mila posti di lavoro (i due terzi di quelli creati in Italia nell'intero 2014) e il numero dei disoccupati è calato del 7,2% su base annua, il miglior risultato degli ultimi 15 anni. Di questo passo ritornare sotto il 20% di disoccupazione potrebbe non essere un miraggio.
Anche perché la flessione del prezzo del petrolio e l'effetto positivo del quantitative easing deciso dalla Bce, unitamente alla ripresa costante dell'attività economica, hanno consentito a Rajoy di sorprendere ulteriormente i propri ascoltatori: nel 2015 il Pil iberico potrebbe aumentare almeno del 2,4%, più del 2% circa della precedente stima. Insomma, a Madrid e a Barcellona le cose stanno andando relativamente bene, tant'è vero che sui mercati lo spread tra i Bonos e il Bund tedesco (104 punti) e migliore rispetto a quello del nostro Btp (107), nonostante l'Italia abbia in teoria più punti di forza. In primo luogo, un export super che rende la nostra bilancia commerciale in costante avanzo (+44 miliardi l'anno scorso).
Eppure resta da chiedersi perché l'Italia di Matteo Renzi non possa almeno provare a illudere (e a illuderci) che si possa crescere oltre il misero 0,7% atteso per quest'anno. La differenza sta nell'attuazione di un percorso riformista, quello di cui si vanta anche l'ex sindaco di Firenze. Rajoy, non si è interessato di leggi elettorali e riforme costituzionali, ma ha abbassato gli indennizzi per i licenziamenti (in Spagna non è mai esistito l'articolo 18), ha tagliato corposamente la spesa pubblica diminuendo gli stipendi dei dipendenti pubblici e anche le pensioni. E anche se ha alzato le tasse (cosa strana per un uomo di centrodestra), ha impiegato le risorse disponibili per abbassare veramente il costo del lavoro. Ecco perché ha potuto ottenere dalla Commissione Ue e, soprattutto, da Frau Merkel un po' di tolleranza nel rientro del deficit e ben 41 miliardi di euro destinati dal Fondo Salva Stati alle banche spagnole rimaste a terra con lo scoppio della bolla immobiliare.
L'Italia, invece, da Bruxelles ha preso quasi sempre schiaffi. E se non riuscirà a trovare 16 miliardi nel 2015-2016 per rimettere i conti a posto arriverà un altro aumento dell'Iva. Le associazioni Adusbef e Federconsumatori ne hanno quantificato l'impatto in una maggiore spesa di 842 euro a famiglia. Una stangata che produrrebbe una contrazione della domanda tale da azzerare qualsiasi speranza di crescita economica.
Il vicepresidente dell'Europarlamento ed ex commissario Ue all'Industria, Antonio Tajani (Fi), evidenzia come questa differenza tra Spagna e Italia non sia solo nominale. «Quelli spagnoli - afferma - sono dati incoraggianti perché dimostrano che si può uscire dalla crisi attraverso una politica di riforme e di crescita.
Rajoy ha progressivamente ridotto il rapporto deficit/Pil, ha pagato i debiti della Pubblica amministrazione (a differenza dell'Italia) e ha dato impulso all'industria automobilistica: sono il secondo Paese europeo produttore dopo la Germania». E l'Italia? «Renzi fa un'intervista al giorno ma i risultati non si vedono perché non ha una strategia chiara e definita, come non ce l'ha nemmeno il suo collega francese e di sinistra, François Hollande».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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