Il Tar salva il quesito truffa: "C'è difetto di giurisdizione"

Il Tar salva il quesito truffa: "C'è difetto di giurisdizione"

Roma - Sarà pure un «quesito truffa» quello del referendum costituzionale del 4 dicembre, come sostengono le opposizioni, ma per il Tar del Lazio è già stato approvato dalla Cassazione e poi recepito da un decreto del presidente della Repubblica, passando attraverso ben due organi di garanzia che si caratterizzano per la loro assoluta neutralità, quindi il ricorso di chi giudicava ingannevole il suo contenuto va respinto.

In termini tecnici il quesito «è inammissibile per difetto di giurisdizione», perché non è il Tar che deve giudicare su una materia che non è di competenza della giustizia amministrativa e che è stata già valutata dalla Corte di Cassazione, visto che il quesito contestato è stato predisposto dal suo Ufficio Centrale per il referendum. E dovrebbe essere quest'ultimo a rivolgersi alla Corte Costituzionale per eventuali questioni di costituzionalità sulla formulazione del testo della scheda. A chiedere l'intervento del Tar erano stati Rocco Crimi, del Movimento Cinque Stelle, e Loredana De Petris, di Sinistra italiana, perché ritenevano i quesiti referendari posti in maniera favorevole al Sì, quasi uno spot pubblicitario a favore del governo. Un inganno per i cittadini, insomma. Ma i giudici della seconda sezione bis hanno respinto il ricorso e, considerata l'«urgenza» di dare una risposta definitiva sulla questione, non si sono limitati alla richiesta cautelare, come accade di solito, ma hanno deciso nel merito della controversia.

La sentenza infiamma il dibattito politico, «una truffa del governo ai danni degli italiani», per le opposizioni e i sostenitori del No; un atto imparziale e dovuto per la maggioranza e i sostenitori del Sì. De Petris e Crimi ritengono che, nonostante il rigetto, «la sostanza del testo rimanga ingannevole: «I magistrati non hanno detto che il quesito è corretto, ma solo che non possono farci nulla».

Spiegano: «Il Tar scrive molto chiaramente nella sentenza che la maggioranza ha deciso di auto qualificare la legge come costituzionale invece che di revisione costituzionale come avrebbe dovuto fare». Per questo, dicono, l'Ufficio centrale della Cassazione si sarebbe potuto rivolgere alla Consulta, ma non l'ha fatto.

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