Sparisce il bollino nero dell'infamia imprenditoriale con l'abolizione della parola «fallito», sostituita da una locuzione eufemistica («procedura di liquidazione giudiziale dei beni») così politically correct, ma in coda c'è il veleno. Sotto forma dei 2 miliardi di euro che 175mila società a responsabilità limitata dovranno sborsare - ogni anno - per mettersi in casa un revisore dei conti. È uno degli effetti della neonata riforma della legge fallimentare: forse non è il più eclatante, ma di sicuro è quello che farà storcere il naso a una vasta platea di titolari d'impresa.
Le nuove norme partono da un principio anche sacrosanto, figlio dei tempi di crisi in cui viviamo dove prevenire è meglio che curare. Più che un cerbero, il revisore contabile è la figura che dovrebbe allertare l'imprenditore prima che avvenga l'irreparabile. Statisticamente, quasi il 90% delle aziende mostra infatti segnali di insolvenza tre anni prima di finire sul binario morto. Muoversi per tempo, adottando le opportune contromisure, è dunque vitale per la sopravvivenza dell'impresa, ed è il modo per tutelare chi ci lavora e i creditori.
Con questo spirito, la legge appena licenziata dal Senato ha deciso di abbassare l'asticella delle srl che sono tenute a mettersi sotto l'ala protettrice di un professionista, prevedendo anche l'obbligo - in taluni casi - della nomina di un collegio sindacale. Inoltre, è anche intervenuta proprio sul versante più delicato, quello di un giro d'affari calante che può essere il sintomo premonitore di una crisi in arrivo. Ricadono così all'interno del nuovo recinto normativo le srl con un fatturato sopra i due milioni e con almeno una decina di dipendenti. Ma non solo. Scatta l'obbligo del revisore anche se per due anni di seguito l'impresa ha una significativa caduta del fatturato rispetto ai livelli mostrati in precedenza. Finora, la soglia limite al di sotto della quale si doveva ricorrere all'esperto contabile era posta a 8,8 milioni per i ricavi e a 4,4 per l'attivo: d'ora in poi scende a due milioni. Esistono comunque altri parametri che fanno scattare la sorveglianza, come per esempio nel caso di imprese tenute a predisporre un bilancio consolidato, di quelle che controllano società obbligate alle revisione legale dei conti, oppure di quelle che emettono obbligazioni.
Tutto bene? Sì, a patto di non considerare il costo che dovranno sostenere migliaia di aziende. Oltre 175mila, secondo i calcoli del Registro delle imprese, di cui un quarto con quartier generale in Lombardia e perlopiù attive nel settore manifatturiero. Il calcolo è presto fatto: le tariffe di un revisore contabile variano da un minimo di 8mila euro fino a toccare una punta massima di 15mila euro; possono essere commisurate all'ammontare del capitale sociale, o al patrimonio netto, o al totale delle attività.
Come si vede, la forchetta è ampia. Diciamo allora che il costo medio di un revisore si può stimare in circa 11.500 euro. Che, moltiplicati per le 175mila imprese interessate al provvedimento, corrispondono appunto a poco più di due miliardi di euro.
Una somma che potrebbe non comprendere alcuni oneri aggiuntivi, indicati nel «Fascicolo di supporto alla valutazione delle tariffe» dei revisori iscritti all'istituto di categoria. Tipo i rimborsi per i viaggi sostenuti (biglietto di prima classe), o per i soggiorni (albergo a quattro stelle).
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