Le tasse strozzano stipendi e crescita. In Italia il lavoro è troppo costoso

Retribuzioni calate del 2,9% in 30 anni. E il cuneo fiscale è il quinto tra i Paesi Ocse

Le tasse strozzano stipendi e crescita. In Italia il lavoro è troppo costoso

Con stipendi lontani da quelli dei miglori Paesi europei e per giunta minacciati dall'inflazione, l'Italia si trova a dover intervenire per non veder arretrare consumi e Pil. Al momento il governo, nonostante le richieste che vengono da Confindustria, non intende agire sul cuneo fiscale, vale a dire la differenza tra il costo per il datore di lavoro e la retribuzione netta percepita dal dipendente. Eppure, il margine per fare qualcosa ci sarebbe se si pensa che il prelievo tra imposte sul reddito e contributi, in Italia, è al quinto posto fra i 38 Paesi Ocse, a quota 46,5% per un lavoratore single (il 12,1% superiore alla media dei principali Stati sviluppati).

Il dibattito si è acceso negli ultimi mesi, quando la ripresa post covid e la guerra hanno innescato la corsa dei prezzi delle materie prime. A tal punto che i dati Istat sull'inflazione parlano di un +6,9% a maggio, al livello più alto dal 1986.

Sul tema dei salari è intervenuto anche il governatore della Banca d'Italia, Ignazio Visco, che ha invitato tutti a non cedere a «una vana riconcorsa fra prezzi e salari» di fronte all'aumento dell'inflazione. Per Visco, infatti, sarebbero meglio «interventi di bilancio di natura temporanea e calibrati con attenzione alle finanze pubbliche» per contenere i rincari delle bollette (come i 200 euro stanziati dal governo). Da dottrina economica, infatti, far crescere gli stipendi può alimentre la spirale inflattiva.

Ma il punto è, a prescindere da tutto, che il problema degli stipendi in Italia non è certo nuovo. E per risolverlo servirebbero politiche di più lungo respiro di interventi una tantum. Infatti, tra il 1990 e il 2020 i salari medi sono diminuiti del 2,9% come documenta una ricerca di Openpolis. Questo numero è il riflesso di diverse componenti, dalla bassa produttività alla bassa crescita del nostro Paese. Ma di sicuro intervenire sul costo del lavoro potrebbe quanto meno rompere una spirale negativa ed essere l'inizio di un'inversione di tendenza.

Il report Ocse Taxing Wages 2022 fotografa un trend di abbassamento delle tasse sul lavoro all'interno dei Paesi Ocse in atto dal 2013. Ora il dato medio è del 34,6 per cento. Anche in Italia le tasse sul lavoro sono calate di uno 0,4% tra 2020 e 2021, almeno se si parla di lavoratori single, ma restano comunque tra le più alte del mondo industrializzato dietro Belgio (52,6%), Germania (48,1%), Austria (47,8%) e Francia (47%). Va perfino peggio se si parla di famiglie monoreddito con due figli: le tasse in Italia tra 2020 e 2021 sono cresciute dello 0,53%, a quota 37,9 per cento. E si piazzano al quarto posto dietro a Francia (39%), Finlandia (38,6%) e Turchia (38,3%) e sono di gran lunga superiori alla media Ocse del 24,6 per cento.

Ma da cosa è composto il cuneo fiscale nel nostro Paese? In Italia l'azienda paga la retribuzione lorda e una quota di contributi a suo carico. Illavoratore paga l'Irpef e una parte di contributi. Il cosiddetto cuneo fiscale, quindi, è in parte a carico dell'impresa e in parte grava sulle spalle del lavoratore.

Guardando invece nel dettaglio la busta paga, il lavoratore medio single nel nostro Paese porta a casa uno stipendio netto del 70,4% del salario lordo (contro il 75,4% medio Ocse). Questo avviene per effetto di una tassazione media sul reddito del 20,1% (contro la media Ocse del 14,9%) e a un prelievo previdenziale del 9,5% (Ocse 9,7%).

Il governo, dal canto suo, ha recentemente rimodulato gli scaglioni Irpef, l'imposta sul reddito delle persone fisiche,

riducendoli da cinque a quattro ed eliminando l'aliquota al 41%. Un intervento che va nella direzione giusta. Ma la sensazione, tornando di nuovo ai dati Ocse, è che l'Italia abbia bisogno di un intervento ancor più incisivo.

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