Teche e manichini Ecco come cambia lo show della moda

Addio alle classiche sfilate Scenografica l'installazione di De Vincenzo dentro al teatro

diFirenze «Come sarebbe bello se potessimo passare attraverso lo specchio! Di sicuro ci sono delle cose bellissime là dentro! Facciamo che ci sia un modo per passare attraverso, facciamo che sia diventato tutto come un leggero velo di nebbia... ma guarda... si trasforma. Sarà facile passare adesso». L'ha scritto Lewis Carroll in Attraverso lo specchio e quel che Alice vi trovò, l'ha realizzato il giovane artista fiorentino Patrizio Travagli per In-Lusionem, l'evento organizzato ieri sera a Firenze da Marco De Vincenzo, guest designer di Pitti Uomo per l'abbigliamento femminile. «Ho scelto di non sfilare e d'integrare i miei modelli in una grande installazione artistica perché mi han dato carta bianca ed era un'opportunità unica: i marchi emergenti come il mio difficilmente si possono permettere lussi del genere spiega De Vincenzo nel foyer del teatro Niccolini, il più antico della città, un gioiello seicentesco appena riaperto dopo vent'anni di oblio e una paziente opera di restauro. L'ingresso in platea è un colpo al cuore: le 500 poltroncine di velluto rimesse pochi giorni fa son state asportate per lasciare posto a un'unica fila di sedie chiuse in una lunga teca di cristallo illuminata da una luce accecante. I colori cambiano di continuo e anche se non capisci se le poltrone sono in pelle, metallo, vetro resina o chissà che, all'improvviso capisci che sono fatte negli stessi materiali dei capi. Basta alzare lo sguardo al palcoscenico per capire il sottile gioco dei rimandi tra la creatività dello stilista e quella dell'artista. I vestiti ci guardano chiusi dentro cinque enormi teche di cristallo che amplificano e rimandano le sublimi geometrie costruite a volte dalle luci di Patrizio a volte dai tagli di Marco. Quest'ultimo come un novello Edward mani di forbici, ha fatto tagliare dei rombi di pelle nera per poi intarsiarli di pelle colorata ai bordi, batterli e rigirarli su se stessi: un lavoro certosino. Ancor più spettacolari le pellicce a frange di chiffon coloratissime montate su organza plissettata che guardano gli spettatori dai palchi dove fanno bella mostra di sé le solite scatole magiche in cui le immagini si sdoppiano e cambiano di continuo pur restando ferme. «Ho lavorato su luci prospettive e proporzioni» racconta l'artista che ha un'evidente affinità elettiva con James Tourell, l'uomo che nel 2013 ha trasformato l'interno del Guggenheim Museum di New York nell'antro delle meraviglie cromatiche. «Questa è una storia di colore, moltiplicazione, modularità» conclude De Vincenzo rivelando al colmo della gioia che l'installazione è già stata chiesta da due musei di arte moderna. Quanto ai vestiti non saranno mai venduti (e questo è un vero peccato) il loro scopo era aprire le porte della percezione. Inevitabile a questo punto il confronto con la sfilata del coreano Junn J che si è svolta l'altra sera alla Leopolda: collezione bellissima ma formula stantia: non basta ricreare un'atmosfera da fantascienza e trasformare i modelli in androidi con abiti e scarpe oversize per lanciare nuovi messaggi di stile. Inoltre Rei Kawakubo per Comme Des Garçons e Johij Yamamoto hanno fatto le stesse identiche cose 30 anni fa e nella moda repetita non juvant. Certo trovare nuove un nuovo modo di presentare i vestiti è più che difficile. Nel salone, per esempio, il magnifico stand di Xacus e quello ultra semplice di Pashmere avevano in comune un'unica cosa: la maestria del prodotto.

Xacus ha infatti costruito una sorta di chalet perchè la la collezione è stata costruita con materiali tipo jersey, misto lana e bouclè inediti per la camiceria. Bellissimi i colori: tutte le nuanches del blu create in esclusiva. Da Pashmere invece il lusso sussurrato e la morbidezza fan da corollario allo stile classico.

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