Politica

Tegola pure dall'Ama: rivenduti i vestiti per i poveri

RomaNon si è spento l'eco della bolla papale sul sindaco di Roma, quel «non l'ho invitato io, né gli organizzatori» precisato da Francesco il Sant'uomo e ribadito da monsignor Paglia, che un'altra tegola precipita sulla disastrata (disastrosa) amministrazione capitolina. Tocca alla municipalizzata Ama, azienda di raccolta dei rifiuti, già in subbuglio per l'annunciata privatizzazione (pronto uno sciopero) e l'inefficienza ormai conclamata.

Proprio ieri l'Antitrust l'ha condannata a pagare una multa di 100mila euro. Assieme all'Ama, sanzionati anche i consorzi Sol.co (altri 100mila) e Bastiani (10mila). È la motivazione ad avere dell'incredibile per chi, lungo forse anche più di una decina d'anni, ha buttato i propri indumenti usati, persino in buono stato, immaginando che quel servizio avesse lo scopo laico di soccorrere i bisognosi. Lo inducevano a credere una serie notevole di indizi: il fatto che il servizio di raccolta fosse gestito dall'Ama, tramite ditte appaltatrici, e soprattutto gli adesivi che spiegavano: «I materiali in buono stato saranno recuperati come indumenti». Il recupero avveniva sì, ma a «fini commerciali», scopre ora l'Antitrust: vale a dire che gli indumenti erano prelevati dai consorzi affidatari dell'Ama, selezionati, rilavati e immessi sul mercato.

Altro che poverelli e che opere di bene. Se non è esattamente una truffa, qualcosa di molto peggio della «pubblicità ingannevole», perpetrata attraverso delle scritte adesive poste sui cassonetti. Per quanto più specificatamente riguarda le responsabilità dell'Ama, la società non «ha esercitato un'adeguata vigilanza nei confronti dei consorzi, né fornito ad essi un modello di adesivo destinato ai cassonetti gialli», dice l'Antitrust. Né, infine, reso disponibile sul proprio sito internet un adeguato apparato informativo sulle reali modalità e finalità della raccolta. Insomma, l'Ama nicchiava, e lasciava fare (non si sa in cambio di che cosa). Finché i vertici non sono venuti a conoscenza dell'avvio del procedimento: allora i consorzi hanno provveduto in fretta e furia a rimuovere i claims ingannevoli, mentre l'Ama, sul proprio sito, ha cominciato a evidenziare i dati relativi ai soggetti cui era stata affidata la raccolta e a chiarire, soprattutto, che l'attività si svolgeva «per finalità commerciali e non benefiche».

Troppo tardi, e praticamente un'ammissione di colpa grave.

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