Beirut È stata la notte «della vendetta» ma alla fine molto meno cruenta di quanto minacciato. Una pioggia di missili balistici è partita dall'Iran e si è abbattuta contro la base di Ain al-Asad e quella di Erbil in Irak. Alle 2 ora locale Teheran ha lanciato l'operazione «Soleimani Martire». È la prima rappresaglia per l'uccisione del generale da parte degli Usa. Ed è il primo attacco diretto e rivendicato da parte dell'Iran agli Stati Uniti dopo il sequestro dell'ambasciata americana a Teheran nel 1979. La tv iraniana parla di almeno 80 morti nel raid. Ma gli Usa, e anche l'Irak, hanno ribattuto che non ci sono vittime. Anche perché Baghdad, secondo una fonte diplomatica araba, avrebbe comunicato a Washington «quali basi sarebbero state colpite» dopo averne ricevuto comunicazione da Teheran.
Per l'ayatollah Ali Khamenei però è «uno schiaffo in faccia» per gli Stati Uniti. La guida suprema ha chiesto la fine della presenza americana in Medio Oriente. «Questa regione non tollererà la presenza degli Stati Uniti; le nazioni della regione non lo accetteranno e i governi sostenuti dal loro popolo non lo accetteranno», ha tuonato. Khamenei ha anche respinto le richieste di negoziati statunitensi: sarebbero una «preparazione alla loro presenza» in Iran.
Il leader supremo ha elogiato Soleimani, un leader «coraggioso e riflessivo» e «cauto». Alcuni analisti hanno interpretato questa affermazione come un modo per giustificare la reazione non devastante dell'Iran. Anche il presidente iraniano Hassan Rohani è intervenuto in sua difesa. «Il generale ha combattuto eroicamente contro l'Isis, al Nusra e Al Qaida. Se non fosse stato per la sua guerra al terrorismo, le capitali europee sarebbero ora in grande pericolo». E ha ribadito: «La nostra risposta finale alla sua uccisione consisterà nel cacciare tutte le forze Usa dalla regione». Ha poi continuato con toni più duri. «È stato chiaramente dimostrato che non ci stiamo ritirando di fronte all'America. Se gli americani sono saggi, non intraprenderanno alcuna altra azione».
Da Teheran il corpo delle Guardie Rivoluzionarie ha annunciato come «la feroce vendetta» per l'uccisione del generale Soleimani è iniziata e ha affermato che l'operazione si è conclusa con successo e che la base di al-Asad «è stata completamente distrutta». Ha poi precisato che «se l'Iran dovesse essere attaccato sul suo territorio Dubai, Haifa e Tel Aviv verranno colpite da parte dell'Iran». Qualsiasi atto aggressivo del «grande Satana e gli arroganti Stati Uniti» verrà accolto con «ritorsioni più dolorose e più schiaccianti». Più conciliante invece la reazione del ministro degli Esteri Javad Zarif. «L'Iran ha adottato e concluso misure proporzionate di autodifesa ai sensi dell'articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite. Non cerchiamo l'escalation o la guerra, ma ci difenderemo da qualsiasi aggressione». Mentre il primo ministro iracheno Adel Abdul Mahdi ha esortato alla moderazione tutte le parti e ha avvertito che la crisi potrebbe portare a una «devastante guerra totale in Irak, nella regione e nel mondo».
Secondo molti analisti l'attacco è stato chiaramente programmato per causare il minor numero di vittime possibile. Sia gli Stati Uniti sia l'Iran non vogliono un conflitto più ampio. Ma sarà difficile vedere un cambiamento della politica di Teheran.
Ci sono però delle differenze in questa strategia dell'Iran come fa notare Ray Takeyh, esperto di Iran presso il Council on Foreign Relations. «In passato, l'Iran ha attaccato gli americani attraverso i propri delegati. Questa volta sembra più sfacciato e disposto ad assumersi la responsabilità dei propri atti».
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