Una tela sulla Abramovic, aggredita per invidia

Choc per l'artista serba colpita da un «collega» frustrato, subito fermato dagli agenti

Una tela sulla Abramovic, aggredita per invidia

È un caldo mezzogiorno fiorentino di domenica mattina, code ordinate alla biglietteria di Palazzo Strozzi dove va in scena da alcuni giorni la mostra antologica di Marina Abramovic. L'artista serba ha scelto di rimanere anche dopo l'inaugurazione, per dirigere le performance, studiare le reazioni del pubblico, firmare le copie del catalogo. Qualche minuto dopo le 12 rumori, urla e concitazione: un uomo, cinquantenne di nazionalità ceca, cittadino italiano, si avvicina a Marina e le rompe un quadro in testa. Lei pronta si ripara dai colpi, nonostante il dolore. Il violento viene immediatamente circondato dai collaboratori e dalle guardie, poi l'intervento della polizia.

Si chiama Vaclav Pisvejc, già noto alle forze dell'ordine per aver imbrattato, alcuni mesi fa, sempre a Firenze, le sculture di Urs Fischer in piazza della Signoria. Si proclama anch'egli artista, ovviamente frustrato e ignorato dal sistema. Chi, come Abramovic, ha raggiunto il grande successo gli fa rabbia, invidia, scatenando una psiche indubbiamente malata a cui sarebbe opportuno vietare di girare per musei e luoghi aulici.

Non esiste però un Daspo per l'arte. Che andrebbe applicato anche alla critica, a chi ad esempio sostenne alla stregua di un'opera l'atto vandalico del russo Alexander Brener, che nel 1997 disegnò con la vernice spray il simbolo del dollaro su un monocromo di Malevic esposto al museo Stedeljik di Amsterdam. Poi ci sono i cretini che sfregiano gli affreschi a Pompei o danneggiano la Fontana di Trevi, ma quella è inciviltà e ignoranza. Un conto è prendersela con l'opera, un altro attentare alla vita dell'artista. L'episodio più grave è la pistola scaricata addosso a Andy Warhol nel 1968 da Valerie Solanas, militante femminista estrema, invidiosa del successo del Maestro, anzi convinta che fosse lui la ragione dei suoi guai. Nel 1994 il pittore olandese Rob Scholte perse le gambe perché qualcuno aveva piazzato una bomba sotto la sua auto, pare per una questione di donne.

Di fondo c'è sempre la frustrazione e la storia avrebbe dovuto insegnarcelo: Adolf Hitler, respinto all'Accademia di Vienna, fu un acquerellista mancato; Charles Manson avrebbe tanto voluto incidere un disco rock, ma fu rimandato a casa. Decisamente sarebbe stato meglio accogliere le loro aspirazioni.

Dopo lo choc Marina Abramovic si è presto ripresa. Accompagnata al caffè del museo da Arturo Galansino, direttore di Palazzo Strozzi, ha voluto chiedere ragione del gesto all'uomo che si è limitato a dirle: «L'ho fatto per la mia arte». In serata ha poi rilasciato una dichiarazione, sottolineando: «È la prima volta che mi succede una cosa del genere. Dopo tutto quello che è successo sono tornata in albergo. In passato mi sarei arrabbiata per un fatto del genere, oggi invece provo compassione. La cosa più difficile è perdonare ma bisogna riuscire a farlo come dice il Dalai Lama».

L'episodio, peraltro, ha più di un'assonanza ciò che

accadde nel 2009 a Silvio Berlusconi, ferito al volto in piazza Duomo. Oggi come allora, troppi veleni in giro. E che l'invidia di classe, verso chi ce l'ha fatta, passa liberamente dalla politica alla cultura. Mala tempora currunt.

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