Il telefono rosso del Pd. Zingaretti ora ha paura per lo scandalo Umbria

Intercettata la Marini: "Porta le tracce a quella della coop". Il segretario prova a smarcarsi

Il telefono rosso del Pd. Zingaretti ora ha paura per lo scandalo Umbria

Adesso Nicola Zingaretti, fresco di nomina, si rivolge serafico alla magistratura: «Andate fino in fondo». Il sopracciglio inarcato, qualche titolo nemmeno troppo ingombrante dei grandi giornali, una spolverata di contrizione sull'appello rivolto alle toghe. Troppo poco per cavarsela. Il Pd umbro è in pezzi, il potente assessore regionale alla sanità Luca Berberini e il segretario Gianpiero Bocci sono ai domiciliari. In più la governatrice Catiuscia Marini è indagata e in imbarazzo. Lei parla come fosse parte lesa, ma in un passo delle intercettazioni si legge un'imbeccata poco edificante: «Qui ci sono le domande.. sta tranquilla». A pilotare l'ennesimo concorso è il direttore dell'azienda ospedaliera umbra Emilio Duca, il direttore d'orchestra dietro le quinte, pure arrestato.

Una regione rossa, un sistema di potere che pareva immutabile e ora la scoperta che anche a Perugia le nomine non le faceva il merito, ma ci si metteva d'accordo fra le diverse fazioni - ex Ds ed ex Margherita - di un partito che fagocitava tutto e tutti con i suoi inesauribili appetiti. I giudici parlano di otto concorsi teleguidati, non uno o due, e scrivono l'epitaffio di un'epoca in formato giudiziario: «Prolungata e abituale attività illecita». E ancora: «Efficiente e solido sistema clientelare».

Può darsi che col tempo l'accusa si ridimensioni, ma la disinvoltura con cui l'ubiquo Duca viene captato da cimici e microspie è disarmante: «Gli porto su le domande, sennò come fa?» E una componente della commissione esaminatrice sembra rispondergli a tono: «Quelli che mi hai dato gli ho dato a tutti il massimo».

Sembra la catena di montaggio di una struttura feudale. Dove nemmeno uno spillo sfuggiva - a leggere gli atti dell'inchiesta - all'assalto dei potenti. I meccanismi sono sempre gli stessi e fanno a pezzi la grammatica istituzionale. Anche quando si deve assegnare un posto per assistente amministrativo nelle categorie protette. «La figlia di Fascini mettetela dentro... non so», ordina con toni espliciti Marini. E Duca non si scompone: «Vabbè, cercamo.. che cosa è geometra tecnico? Qui ce sono le domande... fra quelle li sta tranquilla, c'ha cinque giorni di tempo perlomeno, fa lo scritto». Non basta. «Catiuscia Marini - annotano i pm Paolo Abbritti e Mario Formisano - dice al suo consigliere politico Valentino Valentino di mettere le tracce della prova scritta in una busta e di portarle alla... Marisa, quella della Lega Coop, cosi da farle avere alla candidata».

Si fosse registrato un dialogo come quello svelato dal Corriere dell'Umbria nella Lombardia di Attilio Fontana o, prima, in quella scomunicata ma efficientissima di Roberto Formigoni, che cosa sarebbe successo? La tempesta sarebbe arrivata fino a Roma e le poltrone avrebbero traballato. Invece il metronomo del Nazareno batte un ritmo ordinario. Zingaretti impugna la ramazza per farla immortalare dai flash dei fotografi, nomina Walter Verini commissario del partito e chiede pulizia. Quella pulizia che il partito non ha mai fatto e che porterebbe chissà dove. Se fossi intercettato - si vanta Duca in uno dei colloqui pubblicati da Corriere e Repubblica - verrebbero fuori cinque reati ogni ora». Un quadro desolante. Altro che un filo di maquillage. «Tu ce l'hai tutte? - chiede apprensiva Marini a.

Duca che sparge serenita: «Ci sono tre prove. La prima è la più selettiva, quindi è naturale che se non ci attrezziamo...». Ma si attrezzavano. In un girotondo di buste, nomine, posizioni, da definire al riparo dell'egemonia rossa.

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