U na domenica terribile, iniziata con una sveglia angosciata e diventata infinita tra paure, polvere e dolore. Quattro giorni dopo lo scossone che ha fatto agitare di nuovo l'Italia centrale e due mesi dopo il terremoto di Amatrice, la spina dorsale dell'Italia torna a tremare. Epicentro di una scossa fortissima - magnitudo 6,5, la più forte da quella del 1980 in Irpinia - questa volta la cittadina umbra di Norcia, che è stata sfregiata per sempre. E solo un prodigio ha fatto sì che anche questa volta, come mercoledì, non ci fossero morti, ma solo una ventina di feriti, dei quali nessuno grave. Terribile invece il bilancio degli sfollati, che a Norcia sono 3mila e nelle Marche ormai 25mila.
Tutto è accaduto alle 7,41. Uno scossone terribile, lunghissimo, che si è sentito anche a Roma, dove la gente è scesa per strada in pigiama e cappotto, a Bolzano, perfino in Austria. Poi una scia di scosse più lievi ma che hanno esasperato i nervi già fior di pelle dei terremotati.
A pagare il pegno più alto come detto Norcia. La sua cinta muraria è oramai in buona parte un cumulo di macerie; della cattedrale di San Benedetto, icona della città, resta solamente la facciata ma «presto crollerà anche quella», dicono i Vigili del Fuoco. L'intero centro storico della cittadina umbra è stato evacuato: zona rossa, tutte le chiese sono crollate, le case tutte dichiarate inagibili. Luoghi feriti. «È un'ecatombe. Norcia è finita», dice in lacrime Alessandra Sbano, una delle abitanti. «L'ora legale ci ha salvato - raccontano i Vigili del Fuoco - altrimenti saremmo tutti morti». Alle 8,41 sarebbero già stati al lavoro per le verifiche in corso dopo il sisma di mercoledì scorso.
Per arrivare in città, occorre fare il giro per Rocchetta e Cascia. Poi, a pochissimi chilometri da Norcia, il paesaggio che si intravede è spettrale. Spaccature lungo il manto stradale, voragini e strade abbassate di una quindicina di centimetri. Le storiche mura sono crollate in buona parte e perfino il centro operativo della Protezione civile è stato dichiarato inagibile. Il sindaco Nicola Alemanno ha radunato la cittadinanza, invitandola a recarsi a Perugia o negli alberghi intorno al Lago Trasimeno. «A Norcia dice - non siamo attrezzati per accogliere tutti gli sfollati e non riusciamo a organizzare una tendopoli». Io non me ne vado da qua racconta Luciano, sulla quarantina dormirò in macchina come ho fatto questi ultimi due mesi (dallo scorso terremoto del 24 agosto, ndr) ma voglio restare qua.
«Non ho mai sentito un terremoto così forte in vita mia racconta Giulio Moscatelli Perla, 81 anni - sono scappato fuori da casa senza nemmeno vestirmi. Ero in pigiama e sono uscito di corsa. La mia casa non è più agibile, ha crepe dappertutto prosegue qui è un disastro. È tutto finito. Norcia non c'è più. La natura ci ha rubato cento anni di lavoro e ci vorranno almeno 50 anni per ricostruire tutto». C'è disperazione, dolore, rabbia. Le scosse si susseguono a ritmo serrato: centinaia quelle di assestamento, ma alcune anche belle forti. Come quella delle 13.07 di magnitudo 4.6 che ha provocato ulteriori danni.
Una delle immagini simbolo della giornata è quella delle suore di clausura in ginocchio, in preghiera, nella piazza centrale di Norcia. «Abbiamo avuto tanta paura racconta la badessa delle benedettine stavamo pregando le lodi quando abbiamo sentito la scossa fortissima». Ora le religiose sono state tutte evacuate e trasferite al monastero di Trevi. Duecento persone sono state evacuate dalla zona rossa; migliaia gli sfollati che si stanno riparando in auto o in altre città più sicure. Ma mentre le chiese sono tutte crollate, le abitazioni hanno tenuto piuttosto bene alla scossa. A parte qualche caso, pochi edifici sono crollati completamente, anche se quasi tutti sono stati dichiarati inagibili.
«È un disastro, questa volta è stato terribile, è caduto tutto», racconta il vescovo della diocesi di Norcia-Spoleto, monsignor Renato Boccardo. «La gente è impaurita ed esasperata. Quando ho sentito la scossa delle 7.41 ho pensato subito al peggio. Sono corso in città, ho potuto constatare con i miei occhi i danni alle chiese. Mucchi di macerie, la situazione è tragica. E poi, dopo tanti sopralluoghi e verifiche, perché non sono state messe in sicurezza? Probabilmente, con dei ponteggi, forse qualcosa si sarebbe salvato.
Ora, però prosegue il vescovo bisogna rimboccarsi le maniche, semplificare le procedure e venire incontro ai bisogni reali della gente: casa, cibo, assistenza. Tutti dobbiamo fare la nostra parte: governo, diocesi, istituzioni. Ognuno la propria».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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