Toh, la "first lady" inglese lavora per chi elude le tasse

Imbarazzo per Cameron: attacca le aziende dello scandalo Luxleaks ma la moglie collabora con una società controllata da una holding con sede in Lussemburgo

Toh, la "first lady" inglese lavora per chi elude le tasse

Londra - Cameron tuona contro gli imprenditori furbetti che spostano la residenza all'estero per pagare meno tasse eppoi la moglie lavora per uno di loro. Dev'essere stato imbarazzante per il premier britannico trovarsi sbattuto sulla prima pagina del Daily Mirror di ieri mattina insieme alla sua Samantha, proprio sopra al titolo che in sostanza chiedeva come ci si sentisse a predicare bene e razzolare male. Soprattutto se si viene scoperti.

Ma spieghiamo la vicenda. Da mesi il leader conservatore ha dichiarato guerra alle grandi aziende che operano nel Paese, ma trasferiscono le sedi principali nei paradisi fiscali per evitare di pagare le tasse più alte imposte dal Regno Unito. Uno stratagemma molto diffuso e ben noto agli azzeccagarbugli societari che finora ha consentito di sfuggire alle maglie tributarie inglesi, senza tuttavia commettere dei veri e propri illeciti.

«Non fanno nulla di illegale ma è moralmente sbagliato» ha più volte commentato feroce il primo ministro assicurando di voler mettere mano alla questione aumentando i controlli e garantendo regole più certe in modo da far recuperare alle casse dello Stato fino a 5 miliardi di sterline. Ancora non l'ha fatto? Il Mirror avrebbe anche portato pazienza, se non avesse scoperto che proprio la moglie di Cameron ha un generoso contratto di consulenza con la Smythson, arcinota azienda di pelletteria di lusso che però sarebbe controllata da una holding con sede in Lussemburgo. La compagnia-sorella di Smythson, Holdsmyth, rimasta in Gran Bretagna, è riuscita a farsi dare un prestito di 2 milioni di sterline con copertura governativa. Come se non bastasse il reporter del Mirror è andato a controllare la fantomatica sede lussemburghese che è risultata essere un enorme edificio con le finestre sbarrate e il cartello «Affittasi» appeso all'ingresso.

Il portavoce della signora Cameron si è affrettato a sottolineare che lei «non è mai stata il direttore della Smythson e ha smesso di esserne la manager e una delle azioniste prima del maggio 2010», ma lo scivolone c'è, eccome. Nulla di illegale ma sarebbe stato meglio che Samantha lavorasse per un'azienda immacolata. Perché il sospetto di favoritismi fa presto ad insinuarsi.

È un rischio che il principale avversario politico di Cameron, Ed Miliband, invece non corre perché nel giro di un weekend è riuscito ad inimicarsi buona parte della Confindustria britannica. Il leader laburista se l'era presa a male per le critiche rivolte al suo partito dal proprietario della catena farmaceutica inglese Boots, l'italiano multimiliardario Stefano Pessina, fortunato residente monegasco. Pessina aveva dichiarato che «un governo laburista non avrebbe fatto bene né al Paese né agli affari». «Sarà la gente a giudicare le opinioni degli imprenditori che vivono all'estero e non pagano le tasse in questo Paese» aveva commentato un portavoce del partito sperando di guadagnarsi così il consenso degli imprenditori più nazionalisti.

Ma loro, a sorpresa, il giorno dopo e in quelli successivi, hanno fatto sorprendentemente quadrato attorno a Pessina dimostrando che, forse, alcune delle sue critiche verso l'attuale programma elettorale del Labour, non erano del tutto infondate.

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