A Bologna la galassia antagonista vive di luoghi-simbolo. Di edifici dove imporre la propria «extraterritorialità» in opposizione alle regole dello Stato.
Ai collettivi le leggi non piacciono, preferiscono l'anarchia dell'occupazione abusiva. Va tutto bene finché le «autorità costituite» chiudono gli occhi, ma appena le «istituzioni» (che per i black bloc sono sempre rigorosamente «fasciste») si svegliano dal grande sonno, ecco che iniziano i problemi.
Così in piazza ieri sono tornati i vecchi slogan urlati da giovani, anch'essi terribilmente vecchi: un po' perché si tratta (nella migliore delle ipotesi) di «studenti» cronicamente fuori corso, un po' perché sono ormai da anni facce ben notte alla Digos.
Ieri il déjà vu si è materializzato sotto forma di uno sgombero (gestito con qualche carenza tecnica dalla polizia, ndr) dell'ex caserma Masini di via Orfeo, un edificio che glòi autonomi del collettivo Labas occupavano abusivamente dal 2012, infischiandosene delle decine di diffide ricevute per liberare lo stabile.
Inevitabile è arrivato così il blitz degli agenti che hanno trovato la resistenza di un centinaio di irriducibili che li hanno accolti tra petardi, fumogeni, copertoni incendiati e balle di fieno date alle fiamme. Stese a terra c'erano anche i «pacifisti» con le braccia alzate, ma si sa che in questi casi l'apparente inoffensività dei sit-in è funzionale solo a scatenare la reazione delle frange più violente. Che non si è fatta attendere. I poliziotti hanno replicato con manganellate volte più a intimidire che a «far male». Irruzione delle forze dell'ordine anche nel Laboratorio Crash, altro luogo di «autogestione e conflitto in città».
Dopo tre ore di guerriglia urbana che ha messo la città in uno stato di tensione, gli animi si sono calmati. Con la minaccia però dei black bloc di «riprendersi al più presto ciò che lo Stato oggi ci ha illegittimamente sottratto».
A Bologna, con non poche difficoltà, sta reggendo una specie di «santa alleanza» tra sindaco, questore e procura per «non tollerare più ciò che in passato è stato tollerato fin troppo»; non a caso è proprio contro sindaco, questore e procuratore che i manifestanti se la sono presa: «Stessa razza, farete la stessa fine».
All'appello dei «nemici storici» non poteva mancare anche il rettore dell'Università, «colpevole» di aver fatto sgombrare il 9 febbraio scorso la biblioteca universitaria di via Zamboni 36 che i collettivo Cua aveva trasformato in un centro sociale dove si spacciava, aggrediva e rubava impunemente. Il rettore si era «azzardato» a installare dei tornelli di accesso per filtrare gli ingressi, ma tutto veniva puntualmente divelto dagli autonomi. Anche in quell'occasione a liberare l'edificio arrivarono i celerini: l'irruzione degli agenti in assetto antisommossa all'interno di un «luogo universitario» fece molto scalpore. La biblioteca è rimasta chiusa fino a due settimane fa.
Ora è stata riaperta e - come anticipato mesi fa
dal Giornale - all'ingresso non ci sono più i tornelli (relegati solo nella zona dei servizi igienici e degli uffici amministrativi).Per i violenti, l'ennesima vittoria. Un brutto segnale per Bologna. E per tutto il Paese.
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