Ricevere una lettera con oggetto «batterio killer» già non è granché rassicurante. Se poi aggiungete che il testo vi definisce - con la tipica «delicatezza» della burocrazia sanitaria - «soggetto potenzialmente interessato», il senso di vaga inquietudine rischia di trasformarsi in terrore. Ed è questo lo spiacevole brivido che devono aver provato i 10mila i pazienti operati nelle cardiochirurgie del Veneto ora contattati per «valutare eventuali approfondimenti clinici» da quello che è appunto stato definito il «batterio killer presente in uno strumento per cardiochirurgia malfunzionante».
Nella lettera c'è scritto proprio così: «malfunzionante», come se lo «strumento» in questione fosse un banale elettrodomestico e non in vece un macchinario dal cui «buon» o «mal» funzionamento dipende la vita o la morte del paziente. Comunque, per correre ai rimendi, è sempre meglio tardi che mai.
Va quindi salutata con favore la decisione adottata a Padova dal gruppo tecnico della Regione Veneto di spedire le 10mila lettere; più che condivisibile l'obiettivo: «Prevenire e gestire le infezioni in soggetti sottoposti a intervento cardiochirurgico in relazione alla vicenda del Mycobacterium chimaera, il batterio killer contenuto nei macchinari dell'azienda LivaNova che ha provocato 16 casi di infezione (di cui 14 in Veneto) con 6 decessi». Insomma, una cosetta da nulla.
Fatto sta che i pazienti stanno ricevendo una «scheda informativa» contenente le avvertenze sui «sintomi e l'indicazione dei numeri di telefono da contattare per qualsiasi evenienza e per gli eventuali approfondimenti clinici necessari».
Il gruppo tecnico sottolinea anche che «i macchinari presenti nelle cardiochirurgie di tutti gli ospedali veneti sono già stati messi in sicurezza e, in alcuni casi, sostituiti» (notare quel preoccupante «in alcuni casi» ndr) e che «la Regione Veneto si sta tutelando nei confronti della ditta produttrice» (la Regione «si sta tutelando» ma i potenziali infettati chi li tutela? ndr).
La nota precisa che «il batterio killer sembra essersi annidato già nel sito di produzione del dispositivi, quindi antecedentemente all'installazione in sala operatoria». Circostanza che non fa certo tirare un sospiro di sollievo ai destinatari delle 10mila lettere, per nulla confortati dall'essere venuti al corrente del fatto che «la Regione del Veneto congiuntamente alla Regione Emilia Romagna ha messo in atto un monitoraggio microbiologico relativo alla contaminazione dei dispositivi».
La comunicazione si conclude con un impegno solenne: «La Regione Veneto, in caso di provvedimenti giudiziari, chiederà di essere ammessa come parte civile».
Beh, e allora siamo tutti più tranquilli.
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