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Uganda, il rapper libero su cauzione

Picchiato in carcere, per lui si è mossa l'opinione pubblica internazionale

Uganda, il rapper libero su cauzione

È stato rilasciato su cauzione dopo dieci giorni in un carcere militare e quattro in una prigione di stato, adesso si trova in ospedale dopo le percosse subite durante la sua detenzione. Sono giorni turbolenti per Robert Kyagulanyi, in arte Bobi Wine, stella ugandese del reggae e dell'afrobeat che nel 2017 è diventato parlamentare con una lista indipendente. Lo chiamano «presidente del ghetto» perché i suoi versi taglienti spopolano nelle baraccopoli, e al presidente vero, Yoweri Museveni, si oppone strenuamente.

I suoi problemi sono iniziati lo scorso 12 agosto, quando si trovava nella città di Arua per sostenere la campagna elettorale di un candidato locale. Il giorno dopo l'autista del rapper è stato ucciso nella sua auto con una scarica di proiettili: «Hanno sbagliato bersaglio», il commento di Bobi Wine sui social network. E il giorno dopo ancora, quando sia lui che Museveni si trovavano nella stessa piazza e qualcuno ha rotto con un sasso il vetro di una delle auto presidenziali, il musicista è stato arrestato insieme ad altre 31 persone con le accuse di alto tradimento, incitamento alla violenza e possesso illegale di armi da fuoco.

Immediatamente si sono scatenate le proteste in tutto il Paese, mentre l'hashtag #freebobiwine superava i confini dell'Uganda e veniva condiviso in Africa e all'estero rendendolo famoso in tutto il mondo. A suo sostegno si sono levate le voci dell'Ue, degli Usa, e di molti artisti internazionali. Museveni però ha fatto orecchie da mercante, ha detto che liberarlo non era nelle sue facoltà, che la decisione spettava all'Alta Corte e che lui al massimo avrebbe potuto concedere la grazia.

Fino al 24 agosto Bobi Wine è stato rinchiuso nel carcere militare dove è stato brutalmente picchiato, mentre Amnesty International ne chiedeva la liberazione avendo raccolto 12 milioni di firme. Quando è comparso davanti alla corte marziale aveva il volto tumefatto e stampelle per camminare.

È stato scagionato ma poi subito riarrestato e portato in una prigione comune fino alla liberazione di ieri: molte delle accuse sono cadute, però resta quella di alto tradimento per cui verrà processato già domani. I giorni turbolenti del «presidente del ghetto» non sono ancora finiti.

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